100 grandi aziende responsabili del 71% dell’inquinamento moderno, 35 attive contro le politiche climatiche
Tre recenti documenti contribuiscono a delineare il rapporto tra le più grandi aziende globali (in particolare quelle legate al mondo del petrolio) ed il cambiamento climatico.
Il primo, “The Carbon Majors Database” del CDP e del Climate accountability institute (Cai), mostra come le prime 100 aziende produttrici di combustibili fossili abbiano storicamente concorso a generare una emissione complessiva in atmosfera per circa 1.000 miliardi di t di CO2 e gas serra, pari al 52% di tutta la CO2 emessa dagli inizi della rivoluzione industriale (anno 1750).
Nella storia più recente (periodo 1988 – 2015) queste 100 aziende hanno contribuito all’emissione di 833 miliardi di tonnellate di gas serra, pari a circa la medesima quantità di emissioni generate nel precedente periodo 1750-1998 (cioè 820 miliardi di t CO2eq): 28 anni vs 238, un dato emissivo che già da solo mostra il grandissimo livello di utilizzo odierno dei combustibili fossili e la nostra dipendenza da essi, ma anche la loro enorme impronta ambientale.
Un dato che indirettamente rappresenta anche l’enorme business realizzato da parte di aziende del settore petrolifero che, ormai è chiaramente appurato, ben conoscevano gli impatti climatici collegati alla propria attività estrattiva.
Ancora un dato: nel periodo dal 2008 ad oggi queste stesse 100 aziende sono state indirettamente responsabili di circa il 71% di tutte le emissioni industriali globali di gas serra, e 25 tra queste sono state da sole responsabili del 51% delle emissioni industriali di gas serra.
I nomi sono sempre i soliti, spesso citati anche su questo sito: ExxonMobil, Shell, BHP Billiton, Gazprom, Saudi Aramco, National Iranian Oil, Coal India, Pemex e Cnpc – Petro China (con Shenhua Group e China National Coal Group) e molti altri ancora.
Se nel periodo 1998-2015 le società più inquinanti sono state le aziende cinesi del carbone, con il 14,5% dell’emissione globale complessiva (quali: Shenhua Group, Datong Coal Mine Group e China National Coal Group), al 30° posto di questa graduatoria compare anche ENI, con 5.319 MtCO2eq cumulative (pari allo 0,6% delle emissioni industriali globali di gas serra nel medesimo periodo 1988-2015).
Ultimo dato: nell'anno 2015 le 224 aziende collegate al mondo delle energie fossili hanno determinato il 91% delle emissioni di gas serra industriali, ed oltre il 70% di tutte le emissioni antropogeniche globali.
Pedro Faria, direttore tecnico del Cdp: “Questo rapporto innovativo mette in evidenza come un insieme relativamente piccolo di soli 100 produttori di combustibili fossili possa custodire la chiave del cambiamento sistemico sulle emissioni di carbonio. (...)
In particolare, il rapporto dimostra che gli investitori nelle società dei combustibile fossili hanno una grande legacy per quanto riguarda quasi un terzo di tutte le emissioni di gas serra industriali e hanno un’influenza su più di un quinto delle emissioni industriali mondiali di gas serra.
Questo pone una responsabilità significativa su questi investitori perché si impegnino con le Carbon Majors e le esortino a divulgare il rischio climatico in linea con la raccomandazione della FSB Task Force per le Climate-related Financial Disclosure (TCFD) e perché definiscano obiettivi di riduzione delle emissioni ambiziosi attraverso l’iniziativa Science Based Targets per assicurarsi che siano allineate agli obiettivi dell’accordo di Parigi”.
Infatti: “Se il trend dell’estrazione dei combustibili fossili continuerà come negli ultimi 28 anni, le temperature medie globali aumenteranno di 4º C per la fine del secolo, il che potrebbe comportare una estinzione sostanziale della specie e grandi rischi di scarsità di cibo in tutto il mondo”.
Logica vuole che, se queste aziende hanno contribuito in modo significativo ai cambiamenti climatici, siano proprio loro a dover giocare un ruolo importante nel contrasto ai cambiamenti climatici e nella transizione verso soluzioni energetiche a basso impatto, anche perché le loro responsabilità sono sempre più chiare e mal tollerate sia dal grande pubblico sia dai propri investitori: e' altrettanto vero che i tribunali (specie negli USA) stanno da qualche tempo iniziando ad ospitare contenziosi verso queste aziende legati proprio alle loro storiche ed attuali politiche sostanzialmente anti-ambientali, negazioniste e di lobby contro le politiche ambientali.
E veniamo allora al secondo report, “Corporate Carbon Policy Footprint” realizzato dall’inglese InfluenceMap, il quale classifica le maggiori società mondiali in funzione della loro capacità di influenzare ed orientare le politiche su energia e clima.
Una influenza che, secondo quanto afferma il report, va oltre una semplice attività di lobby orientandosi invece verso un vero e proprio condizionamento dei decisori: dato interessante, 35 delle 50 industrie più importanti e influenti al Mondo sono tuttora attivamente impegnate a contrastare le politiche climatiche nazionali ed internazionali.
Parliamo di aziende del settore petrolifero, è vero, ma anche aziende di altri settori: l’elenco comprende la solita ExxonMobil e Chevron, Duke Energy e American Electric Power (si tratta di utility con una rilevante generazione elettrica a carbone) ma anche grossi consumatori di energia come ArcelorMittal, Bayer, Solvay, fino anche a case automobilistiche (quali, in particolare, BMW, Daimler, GM e Ford) che lavorano per annacquare o ritardare l’adozione di nuovi standard ambientali.
Viceversa il report segnala anche una serie di compagnie "virtuose" (come Apple, Ikea, Unilever e varie utility tra cui Enel, EDF, Iberdro) che promuovono la transizione energetica verso fonti energetiche rinnovabili e verso la mobilità elettrica.
Chiudiamo con il terzo articolo, “Assessing ExxonMobil’s climate change communications (1977–2014)” realizzato da ricercatori dell’Università di Harvard e Cambridge, che analizza lo storico impegno della più grande azienda petrolifera mondiale (quale, appunto, Exxon Mobil) nella disinformazione e nel negazionismo climatico, una azione intrapresa con il chiaro scopo di ritardare e togliere consenso alla legislazione sul clima, a vantaggio delle proprie attività economiche.
Un impegno deliberato e preciso, probabilmente criminale data la chiara consapevolezza in merito ai prospettici esiti climatici infausti legati all’estrazione del petrolio già storicamente in possesso di Exxon, così come chiaramente dimostrato anche da un report aziendale interno datato 1979 che riportava chiaramente le seguenti conclusioni:
• l’aumento della CO2 in atmosfera è dovuto alla combustione dei combustibili fossili;
• l’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera avrebbe causato un incremento della temperatura superficiale terrestre;
• l’attuale trend del consumo di fonti fossili avrebbe causato drammatici effetti climatici entro l’anno 2050.
Concludiamo qui, riflettendo sul fatto che l’attuale sistema socio-economico è figlio anche delle politiche influenzate da questa azione di disinformazione e di negazionismo, promosse da aziende con interesse nel mondo delle fonti energetiche fossili, così come oggi è ampiamente provato e certo.
Per ora possiamo dire che queste aziende hanno una pesantissima responsabilità morale, quanto a quella economica o di altro tipo lo si potrà eventualmente vedere solo in futuro.
E sarà una storia da raccontare.
Lo Staff di Rete Clima®