CCS (Carbon Capture and Storage) mostra notevoli limiti di crescita
Secondo il recente rapporto Vital Signs Trends del Worldwatch Institute ("Carbon Capture and Storage Experiences Limited Growth in 2011"), le tecnologie per Carbon Capture and Storage (CCS, la cattura e lo stoccaggio geologico della CO2) sono in fase di scarsa crescita, limitate da costi economici intrinseci della tecnologica oggettivamente elevati: proprio per una ragione di costi economici (a cui devono comunque essere sommati i costi idrici ed energetici collegati al funzionamento della tecnologia), a livello globale nel 2011 sono stati cancellati o posticipati 13 progetti di CCS, a fronte dei 79 progetti globali complessivi (di cui solo 8 effettivamente attivi).
Il tutto alla luce del fatto che queste stesse tecnologie non sembrano offrire certezze ambientali di effettiva e duratura permanenza del sequestro della CO2 nei substrati geologici, e nonostante queste medesime tecnologie siano state inserite tra le soluzioni eleggibili nell'ambito dei progetti di CDM (Clean Development Mechanism, uno dei tre meccanismi di flessibilità del Protocollo di Kyoto) proprio nell'ultima COP 17, la Conferenza di Durban del Dicembre 2011.
Secondo il Worldwatch Institute, a livelo globale nel 2011 gli investimenti economici su progetti di CCS di grandi dimensioni non sono cresciuti rispetto all'anno precedente: sempre i dati 2011 registrano il fatto che la maggioranza delle risorse economiche stanziate per le tecnologie CCS è stata rivolta a progetti su centrali di generazione elettrica alimentate a fonti fossili, con particolare riferimento a quelle a carbone.
Sempre secondo il report del WWI, gli USA sono i maggiori investitori in progetti di cattura e stoccaggi geologico della CO2 con 7,4 miliardi di dollari di investimento deciso (di cui 6,1 già stanziati): e sempre a proposito di investimenti, l'Unione Europea ha programmato investimenti per oltre 5,6 miliardi di dollari nelle tecnologie di CCS.
I valori economici sono di importo rilevante, ma l'oggettività mostra che i costi aggiuntivi legati alla realizzazione di un impianto di cattura e stoccaggio della CO2 in una centrale energetica sono elevati, e comportano un extra costo del kWh elettrico.
Secondo i dati della IEA (peraltro citati anche nel report dell'WWI) creare un impianto di CCS vicino ad una centrale a carbone fa aumentare i prezzi medi dell'elettricità prodotta dall'impianto tra il 39% e il 64% (pur a fronte di una stima di potenziale riduzione delle emissioni di CO2 mediante stoccaggio anche fino al 90% del valore massico prodotto dalla combustione del carbone), con una diminuzione dell'efficienza delle centrali che può arrivare fino al -20/25%: similmente, per le centrali a gas naturale si verificherebbe un incremento dei costi del 33%.
Al di là di logiche puramente economiche, a livello ambientale la tecnologia del CCS ha dei limiti anche in riferimento al maggiore utilizzo di acqua nel ciclo produttivo rispetto a centrali "tradizionali" (le centrali accoppiate a sistemid i CCS consumano tra l'87 e il 93% di acqua in più al MWh elettrico generato).
Il tutto fermo restando che esiste sempre la possibilità di rilasci di CO2 dal sequestro geologico.
Robert Engelman (Presidente del Worldwatch Institute): "Una tecnologia che sia in grado di sequestrare in modo permanente grossi quantitativi di anidride carbonica è costosa, e finora i mercati mondiali e i Governi non hanno dato molto valore all'anidride carbonica né alla prevenzione dei cambiamenti climatici di origine antropica”.
In queste condizioni si può davvero dire che gli sviluppi per questa ed altre tecnologie virtuose non possono essere dietro l'angolo.
Lo Staff di Rete Clima®