Occupy Wall Street: gli indignados made in USA sposano anche istanze ambientaliste
Il movimento Occupy Wall Street (o, se vogliamo, gli “indignados made in USA”) sta crescendo e sta diventando una occasione di critica a 360 gradi a questo modello di sviluppo, dentro cui dal secondo dopoguerra si è fondata la nostra economia liberista: la critica spazia dalla finanza alle multinazionali, dai poteri forti (che sembrano avere ormai più potere delle politiche nazionali e governative) alle tematiche dell’energia sporca e dell’ambiente poco tutelato in nome del profitto.
E così, rimanendo in campo ambientale, dentro il movimento si ritrova la critica chiara e senza appello al fracking ed allo shale gas, alle sabbie bituminose (tar sand), all'oleodotto Keystone, al mountain top removal.
Michael Tompson (dell'associazione Deep green resistance, che appoggia il movimento di Occupy Wall Street ): “La giustizia ambientale e la giustizia sociale sono sostanzialmente la stessa cosa”. (…) “Vivere in maniera sostenibile oggi significa smantellare l'economia industriale che abbiamo costruito. Se non facciamo niente il sistema collasserà su se stesso in ogni caso”.
In Liberty Square, la piazza vicina a Wall Street che i manifestanti occupano dal 17 settembre, c’è una sorta di “sustainability corner” dove è situata una compostiera per gli scarti organici derivati dalla raccolta differenziata organizzata tra gli occupanti e dove si genera energia elettrica (mediante una bicicletta) per l’alimentazione degli apparecchi elettrici.
In questo angolo c’è uno sportello dove chiunque può ottenere informazioni su come vivere in maniera maggiormente ecosostenibile e su quali tecniche utilizzare per diminuire il proprio carico sull’ambiente.
La logica è chiara: economia, ambiente e società sono facce della stessa medaglia, dalla cui gestione (sostenibile) dipende il futuro di tutti noi.
Lo Staff di Rete Clima®