Arabia Saudita blocca i “climate change talks”
E’ terminata nei giorni scorsi a Bonn l'ennesima sessione interlocutoria dei "Climate change talks" dell'UNFCCC.
Ed è terminata male, nel senso che l'Arabia Saudita ha bloccato una richiesta dell'Aosis (Association of small island States, l’associazione che raggruppa le piccole isole di Caraibi, Oceano Indiano e Pacifico, particolarmente vulnerabili al riscaldamento climatico) di considerare uno studio sugli impatti di un innalzamento delle temperature medie di 1,5 gradi (0,5 gradi in meno di quanto previsto dall'Accordo di Copenhagen) al fine di poter dirigersi verso politiche più ambiziose nel campo della tutela climatica.
L'appello dell'organizzazione Aosis era l'ennesimo tentativo per costringere l'Onu a non abbandonare l'obiettivo 1,5 gradi che si sta sempre più allontanando: tutto ciò mentre molti Governi dei Paesi petroliferi, industrializzati ed emergenti stanno cercando di boicottare i futuri accordi internazionali per la tutela climatica (o, come capita per l’Italia, anche gli accordi già sottoscritti).
Ed intanto, mentre l'Arabia Saudita impediva di discutere, a Bonn veniva diffuso un documento che avvertiva che l'obiettivo dei 2 gradi è già solo una favola: infatti, se mettesse in atto così come sono l'Accordo di Copenhagen ed altre politiche internazionali, entro il 2100 il mondo avrebbe un aumento della temperatura globale di 3 gradi centigradi!!
Bill Hare (Potsdam institute for climate impact research): “Gli impegni attuali e le loro lacune ci danno la virtuale certezza di un aumento di 1,5 gradi centigradi, con un riscaldamento globale probabilmente molto superiore a 2 gradi e, con una probabilità di oltre il 50%, superiore a 3 gradi centigradi entro il 2100”.
Se le richieste dell'Aosis (di una relazione tecnica sui costi economici da affrontare per raggiungere l'obiettivo 1,5 gradi e sulle conseguenze che avrebbero gli sforamenti di questo limite) hanno ottenuto il sostegno dell'Unione Europea, dell'Australia e della Nuova Zelanda, l'Arabia Saudita (sostenuta apertamente dalle monarchie petrolifere del Kuwait e del Qatar e sotterraneamente da tutti i Paesi petroliferi) si è opposta perché il taglio delle emissioni di CO2 farebbe calare il consumo di petrolio e quindi danneggerebbe le sue entrate.
I Paesi della Penisola Arabica, che pure all'estero investono in tecnologie per lo sviluppo delle rinnovabili, non vogliono nemmeno sentir parlare di una reale transizione dai combustibili fossili all'energia pulita.
L'agenzia AP riassume gli umori di Bonn con una frase attribuita ad uno dei delegati: “L'atmosfera è stata pessima. Molti paesi hanno dichiarato di essere molto delusi dell'atteggiamento dei sauditi”.
Wendel Trio (Greenpeace International): “Molti piccoli Stati insulari rischiano di diventare dei senza-terra per l'innalzamento del livello del mare, è questo il motivo per cui chiedono che l'aumento della temperatura globale sia mantenuto sotto gli 1,5 gradi; che l'Arabia Saudita, un Paese con evidenti interessi petroliferi, sfrutti il Consensus rule dell'Onu per impedire ai Paesi più vulnerabili del mondo di ottenere una sintesi della più recente scienza del clima, mozza il fiato per la sua indifferenza criminale per le conseguenze umane del cambiamento climatico”.
E' evidente che dopo Bonn in molti si chiedono quale sia l'utilità di spendere soldi ed energie per i prossimi climate change talks ordinari e straordinari.
Lo Staff di Rete Clima®