Aumento del rischio idrogeologico in Italia: l’altra faccia del cambiamento climatico che andrebbe affrontata facendo prevenzione sul territorio
Qualunque persona di buon senso sa che la prevenzione evita problemi più seri a seguito, in qualunque settore venga realizzata. La persona di buonsenso sa che la prevenzione evita (o comunque limita) i danni, capisce che fare prevenzione costa meno del riparare i danni…..comprende che la prevenzione è la strategia migliore per contrastare gli effetti del cambiamento climatico.
Ciò vale a maggior ragione quando la numerosità delle persone esposte ad un rischio è elevata: si consideri che secondo il report di Legambiente e di Protezione Civile “Ecosistema rischio 2011”, in Italia l'85% dei Comuni è esposto a rischio idrogeologico, mentre sono circa 5 milioni le persone che vivono o lavorano in aree classificate a rischio idrogeologico, un rischio in forte crescita proprio a causa del climate change.
Purtroppo in Italia la politica non è pronta a comprendere e sostenere logiche di buona gestione del territorio anche se, ce lo si ricorda solo all’arrivo dell’autunno, le piogge che negli anni hanno via via incrementato la propria intensità andando a provocare danni sempre maggiori danni al territorio. Danni che hanno un costo, appunto, sostenuto dalla collettività.
Dice Ermete Realacci (Presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera) in riferimento al maltempo che ha colpito la Toscana alla fine dello scorso Ottobre: "Il ripetersi di danni e vittime di eventi alluvionali, come quelli che hanno colpito la regione Toscana, conferma la accresciuta fragilità del nostro territorio, anche per effetto dei mutamenti climatici e dell'accresciuta violenza e concentrazione delle precipitazioni, e quanto sia inaccettabile un finanziamento, per il prossimo anno, di soli 30 milioni per la difesa suolo".
Si conti infatti che nelle bozze della Legge di Stabilità per ora sono stati inseriti solo 30 milioni di euro da poter spendere nel 2014 per la difesa del fragile territorio nazionale, con un calendario di impegno economico che vede un budget di 180 milioni complessivi per i prossimi 3 anni (30 milioni per il 2014, 50 per il 2015 e 100 per il 2016).
Per Nicola Casagli (Professore di Geologia Applicata presso l’Università di Firenze), su Greenreport.it: "Ancora una volta quindi le risorse investite in prevenzione sono drammaticamente insufficienti. La loro esiguità spicca ancora di più se teniamo conto che la stessa legge di stabilità prevede stanziamenti di 7 miliardi di euro per il riarmo, mediante l’acquisto di nuove navi da guerra, nonché il rifinanziamento delle missioni militari all’estero. Essi si sommano poi ai 13 miliardi già stanziati per i cacciabombardieri: un sesto delle spese del riarmo sarebbe sufficiente a mettere in sicurezza il nostro territorio".
Ma quanto vale il costo di questa condizione di fragilità del territorio? Secondo il Rapporto Ance Cresme "Lo stato del territorio italiano 2012", negli ultimi venti anni infatti abbiamo speso in prevenzione circa 10 miliardi, meno della metà dei 70 miliardi impiegati per la riparazione dei danni prodotti da frane e alluvioni occorse nel medesimo periodo.
Per Erasmo D'Angelis (Sottosegretario alle infrastrutture): "All'Italia occorrono almeno due mosse immediate: l'uscita dei fondi per la difesa del suolo dal patto di stabilità e almeno 500 milioni l'anno per dieci anni per segnare una svolta nella difesa da eventi meteorologici ormai non più estremi ma ordinari come dimostrano le emergenze in corso in Toscana e Liguria. La messa in sicurezza dell'Italia da allagamenti, alluvioni e frane è una grande opera pubblica assolutamente indispensabile ed urgente".
Il cambiamento climatico gioca infatti il suo bel ruolo nell’incremento dei problemi di un territorio fragile e malgestito come quello del Bel Paese dove, secondi i dati del report "Andamento meteo climatico in Italia anni 2000 – 2009" (Istat, 2010), negli ultimi dieci anni l’area di territori coinvolti da frane e alluvioni è raddoppiata, passando da 4 Regioni coinvolte annualmente alla media attuale di 8 Regioni.
Nicola Casagli: "Il ministro dell’Ambiente nel gennaio 2013 ha chiesto con forza un Piano straordinario per il rischio idrogeologico, stimando un fabbisogno di circa 40 miliardi di euro in 15 anni per rimettere in ragionevole sicurezza l’Italia. Si tratta di meno di 3 miliardi di euro all’anno per un periodo limitato di tempo, da investire in modo preventivo per evitare danni e costi enormemente superiori. Curiosamente si tratta della stessa stima che era stata fatta già nel 1970 alla conclusione dei lavori della Commissione De Marchi, istituita all’indomani dell’alluvione di Firenze per la predisposizione di un Piano di protezione idrogeologica di tutto il Paese. Il Piano quindi c’è già, è pronto da 43 anni; peccato che in tutto questo tempo non siano mai state reperite risorse per finanziarlo in maniera adeguata".
Il problema che aggiunge complicazione a complicazione è che spesso le risorse sarebbero anche disponibili presso le PA locali, le quali però non possono impegnarle per non “sforare” il patto di stabilità. Caciagli: "In Parlamento è ferma da tempo un’utile proposta di legge per scorporare dal Patto di stabilità gli investimenti per la difesa del territorio, basata sul presupposto che 1 euro speso in prevenzione determina un risparmio di 10 euro in riparazione dei danni. Non ci vorrebbe molto a capire questo semplice concetto e a superare le diffidenze dei burocrati contabili di Roma e Bruxelles".
Che dire? "It’s global warming, stupid!", ma pare che in Italia non lo si riesca davvero a capire, mentre il territorio frana insieme al Paese e ai suoi cittadini poco –o nulla- tutelati.
La pianificazione urbanistica e territoriale, non dimentichiamolo, è anche uno strumento di adattamento importante nei confronti di quel cambiamento climatico che sempre più andrà a far sentire i propri effetti su ogni comparto ambientale.
Lo Staff di Rete Clima®