Trattato transatlantico sul libero scambio (TTIP) e cambiamento climatico: a rischio i futuri risultati (anche) di COP 21?
Il controverso TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership, l'accordo di libero scambio commerciale USA-UE in fase di definizione) potrebbe avere risvolti molto negativi anche sulle azioni per la tutela climatica messe in campo negli Stati nazionali, in attuazione alle politiche internazionali di contrasto al cambiamento climatico.
Questa la conclusione del Rapporto della Associazione Fairwatch dal titolo "COP21 e TTIP - Perché il marketing della Commissione Europea su TTIP e sviluppo sostenibile è a spese dell'ambiente e del clima", recentemente rilasciato (Novembre 2015).
Il report giunge a questa conclusione sulla base della clausola contenuta nel TTIP (di cui ad oggi è paradossalmente difficile avere informazioni precise) circa il possibile ricorso ad arbitrati giuridici internazionali (con effetti vincolanti per gli Stati) "con la possibilità per aziende private di chiedere compensazione economica in caso di politiche contrarie alle loro aspettative di profitto sugli investimenti": in breve, quindi, a TTIP in vigore se uno Stato definisse nuovi vincoli o indirizzi normativi in coerenza con i propri obiettivi nazionali di tutela climatica (magari peraltro sottoscritti alla COP 21 di Parigi) che però fossero di ostacolo allo sviluppo/mantenimento di pratiche commerciali, potrebbe essere citato per danni dall'Azienda a cui questa pratica di tutela ambientale impedisce un potenziale sviluppo di business.
Questa pericolosissima logica è peraltro quanto esattamente contenuto nel già vigente NAFTA (North American Free Trade Agreement, l'accordo, di libero scambio tra USA, Messico e Canada), in virtù del quale la Provincia del Quebec è stata recentemente citata per 250 milioni di euro di danni (per mancato reddito) da una azienda statunitense di fracking, a seguito dell’introduzione del divieto di questa pericolosa pratica di fratturazione idraulica da un referendum di natura ambientale promosso tra i cittadini di questa regione canadese.
Così come non è nuovo lo strumento dell’arbitrato internazionale finalizzato alla compensazione economica per le aziende, introdotto dalla fine degli anni '50 negli accordi internazionali come sorta di “tutela” per le Aziende nella relazione con gli Stati nazionali: stiamo parlando del ISDS (Investor to State Dispute Settlement), il meccanismo giuridico per la risoluzione dei contrasti internazionali tra Aziende e Stati che non coinvolge il sistema giudiziario nazionale o sovranazionale (come la Corte di giustizia dell’Unione europea, per esempio), basandosi invece su un tribunale terzo che si appoggia presso il ICSID (International Centre for Settlement of Investment Disputes, collegato alla Banca Mondiale) o presso il UNCITRAL (United Nations Commission on International Trade Law, cooperante con la WTO - World Trade Organization).
In virtù del ISDS, ormai presente in moltissimi trattati internazionali, l'Azienda energetica svedese Vattenfall ha citato per 4,7 miliardi di euro di danni la Germania (dove Vattenfall gestisce 2 centrali nucleari) quale forma di compensazione economica a seguito dell'atto normativo del Parlamento tedesco che ha definito l'abbandono della produzione di energia nucleare a partire dal 2022.
Al di là di tutte le considerazioni politiche sulla grande limitazione della capacità di autoregolamentazione degli Stati nazionali, se quindi il TTIP venisse approvato si applicherebbe alle transazioni commerciali UE-USA togliendo di fatto la possibilità di limitare lo scambio dei prodotto tra USA e UE: pensiamo soltanto a cosa potrebbe volere dire per i prodotti alimentari americani, spesso caratterizzati da una minore tutela lungo la filiera produttiva, altra tematica chiave in una logica di sovranità alimentare e di tutela dei prodotti locali di alta qualità (punto di forza del sistema produttivo italiano).
Anche in campo climatico i rischi in relazione al TTIP sembrano però essere notevoli, dal momento che ogni tipo di attività di protezione e tutela dell'ambiente potrebbe non essere applicabile dagli Stati nazionali (a pena di risarcimenti economici) qualora in contrasto con il libero scambio economico: una situazione paradossale, che va potenzialmente a compromettere le future azioni di tutela anche nei confronti della problematica ambientale del climate change che ad oggi necessita invece di azioni concrete, rapide ed incisive.
Lasciamo un maggior approfondimento dei contenuti al Rapporto di Fairwatch, scaricabile dal link a seguito.
Lo Staff di Rete Clima®