Land grabbing: Stati ed aziende che acquistano il terreno di altri Stati esteri
Qualche tempo fa parlavamo qui di una possibile crisi alimentare: se però ci riferivamo prevalentemente al breve periodo, la crisi alimentare è una prospettiva altrettanto concreta anche sul medio periodo, a causa del deficit ambientale e degli effetti dei cambiamenti climatici.
In questa logica è interessante parlare del fenomeno del “land grabbing”, che è all’incirca traducibile come “acquisto internazionale di terra coltivabile”, fenomeno in crescita esponenziale in questi ultimi anni.
Il fenomeno colpisce soprattutto l’Africa ed è sempre più praticato dalle grandi società, o addirittura dagli Stati nazionali.
Il recente report della World Bank (“Rising Global Interest in Farmland. Can it yield sustainable and equitable benefits?”) informa che solo fra l’ottobre 2008 e il giugno 2009, nei soli 14 Paesi più colpiti dalla pratica del “land grabbing”, la pratica ha assorbito 450 milioni di ettari di terreno agricolo (pari a circa 1,3 volte l’Italia), contro gli appena quattro milioni fra il 1998 e il 2008.
Il paragone con la superficie italiane però non regge, dato che il land grabbing colpisce solamente il terreno agricolo, coltivabile per produrre quel cibo che sarà sempre più necessario in futuro.
Così come non regge il titolo del report, e la sua impostazione: la WB si chiede –infatti- se il land grabbing non possa essere positivo in quanto occasione per incrementare i bassi investimenti nell’agricoltura di sussistenza e per creare sviluppo sostenibile.
Ma da parte nostra riteniamo che, dal momento che il “land grabbing” coinvolge piccoli contadini dei Paesi poveri verso grandi società dei Paesi ricchi, sia più probabile una corsa all’accaparramento che potrà verosimilmente scatenare conflitti per la ineguale distribuzione delle risorse.
E’ curioso il fatto che il report della World Bank non abbia esplorato a fondo il fenomeno del land grabbing, limitandosi a verificare i dati forniti dall’organizzazione non governativa Grain e relativi a 14 Paesi.
Traducendo in parole povere: il report non ha specificato chi sta acquistando terra e come la usa: non ha specificato quali estensioni sono state acquistati direttamente dagli Stati e quali invece da società private.
Perché nessuno si chiede cosa mangeranno i contadini dei Paesi poveri se perdono la loro terra e se i raccolti, che diventano biocarburanti o merce di scambio sui mercati?
Lo Staff di Rete Clima®