Climate litigation: il riscaldamento climatico entra in tribunale (anche in Italia)
La crisi climatica globale sta portando ad effetti sempre peggiori, ogni anno l'impatto del riscaldamento climatico globale si fa sempre più intenso, e sempre più persone in tutto il mondo ne stanno subendo le conseguenze.
Nonostante i miglioramenti nei piani di mitigazione e di adattamento da parte deli Stati nazionali, e malgrado l'impegno di molte aziende di raggiungere l'obiettivo net-zero emissions, la comunità internazionale è ancora lontana dal raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi.
In questo contesto, in diverse parti del Mondo si sono ormai affermate da qualche anno una serie di controversie legali su base climatica - le cosiddette “climate litigation” - che vedono contrapporsi associazioni ambientaliste (o anche singoli cittadini) contro Stati nazionali, accusati di inerzia normativa rispetto al rischio climatico, oppure contro grandi corporation per lo più del mondo petrolifero, citate in tribunale per azioni di responsabilità rispetto a danni climatici ed ambientali che loro stesse hanno direttamente o indirettamente generato nel tempo.
Cos'è una climate litigation?
Sostanzialmente si tratta di un'azione legale, una strategia innovativa che sta sicuramente diventando uno dei mezzi nel contrasto al riscaldamento climatico.
Secondo il Sabin Center for Climate Change Law di Columbia, le climate litigations non sono altro che “l'insieme delle azioni legali avviate con lo scopo di imporre ai governi e/o alle aziende il rispetto di determinati standard in materia di riduzione delle emissioni di gas serra”.
E' peraltro importante distinguere tra public climate litigation, in riferimento ad azioni legali che si rivolgono a Stati, Governi ed enti pubblici con lo scopo di influenzarne la politica ambientale, rispetto a private climate litigation, cioè azioni legali che mirano a far riconoscere la responsabilità delle aziende private rispetto al loro impatto climatico.
Al 31 dicembre 2022, come indicato dal Global Litigation Report dell'UNEP, sono stati riportati più di duemila casi presentati in 65 giurisdizioni diverse.
Un numero in forte aumento rispetto agli anni precedenti.
Distribuzione dei casi nel mondo (fonte: Global Climate Litigation Report 2022)
Perché le climate litigation sono oggi diventate così importanti?
Le climate litigations sono importanti perché rappresentano uno strumento attivo a disposizione dei Cittadini (o di gruppi/associazioni di Cittadini) che chiedono la garanzia dei propri diritti umani quali, per esempio, il diritto alla vita, alla salute, al cibo, all'acqua e altri diritti che oggi e prospetticamente saranno messi in discussione dal climate change.
Questi diritti possono appunto venir meno nel momento in cui il riscaldamento globale colpisce attraverso i suoi effetti quali fenomeni meteorologici estremi, come siccità estrema, nubifragi, incendi, oppure in forma di modifica permanente delle condizioni di salubrità e/o vivibilità di aree geografiche nel mondo.
Esempio di public climate litigation: il caso olandese di Urgenda
Uno degli esempi storici e più significativi di contenzioso climatico è quello del caso “Urgenda”, recentemente deciso in via definitiva dalla Corte di Cassazione olandese il 13 Gennaio del 2020 dopo quasi 5 anni dalla presentazione dell’accusa.
L’azione è stata portata avanti da una fondazione privata Urgent Agenda (da qui il nome Urgenda), composta da 886 cittadini secondo i quali il governo olandese non aveva condotto politiche di riduzione delle emissioni di gas serra sufficienti a garantire la sicurezza e la protezione della popolazione.
La sentenza della Corte Distrettuale dell’Aja aveva allora reputato insufficienti gli obiettivi di riduzione delle emissioni serra (pur definiti dallo Stato olandese in coerenza con il Piano europeo Clima-Energia 20-20-20) al fine di garantire il successo delle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici.
Esempio di public climate litigation: la Campagna "Giudizio Universale" contro lo Stato Italiano
A differenza di diversi altri Paesi Europei, in Italia non esiste ancora una giurisprudenza dedicata al tema del cambiamento climatico ed ai dei relativi obblighi di adempimento a livello pubblico o privato.
Nel giugno 2021, la ONG A Sud e altri querelanti hanno intentato avanti al Tribunale di Roma la prima causa nei confronti dello Stato italiano, accusato di non aver intrapreso le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi di temperatura fissati dall’Accordo di Parigi.
L’azione, che fa parte di una campagna chiamata "Giudizio Universale", mira ad accertare la responsabilità extracontrattuale dello Stato Italiano e a condannarlo all’adozione di ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento delle emissioni nazionali di CO2 e gas serra.
Esempio di private climate litigation: Milieudefensie contro Shell
In Europa si è assistito ad un importante aumento di casi di litigation, tra cui il più eclatante può probabilmente essere riferito al caso olandese dell'associazione ambientale Milieudefensie contro Royal Dutch Shell, dato l'esito eclatante.
Infatti, con sentenza del 26 maggio 2021, la sezione Commercio ed Imprese del Tribunale distrettuale de L’Aia ha ritenuto sussistere una violazione di Shell a standard di diligenza non scritti, derivanti da accordi internazionali di mitigazione climatica, con il conseguente rischio di provocare un possibile danno all’ambiente.
Di conseguenza il Tribunale ha imposto al gruppo Shell di ridurre entro il 2030 le proprie emissioni di gas serra del 45% rispetto ai livelli del 2019, attraverso una radicale revisione delle policy aziendali di investimento e di sviluppo del proprio business.
Caso recente: la private climate litigation di Greenpeace e ReCommon contro Eni ("La Giusta Causa")
Al di là del caso sopraccitato, l'applicazione dei contenziosi climatici è oggi ben presente anche in Italia.
L'episodio più recente è quello della causa legale che Greenpeace Italia, ReCommon e dodici tra cittadini e cittadine italiane hanno avviato lo scorso 9 maggio 2023 contro il colosso petrolifero Eni S.p.A. per "danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui Eni ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole".
La campagna in questione prende il nome di "La Giusta Causa".
Le due organizzazioni e le cittadine e i cittadini coinvolti nella climate litigation chiederanno al Tribunale di Roma l’accertamento del danno e della violazione dei loro diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata.
Gli attori che hanno intentato il contenzioso climatico chiedono che Eni sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre le emissioni climalteranti derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, così come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 C secondo le indicazioni dell’Accordo di Parigi sul clima.
Le emissioni di Eni del 2022 ammontano a 419 milioni di tonnellate di CO2eq, così come riportato nel report aziendale del 2023: l’Italia nel 2021 ne ha prodotte 319,7 milioni (fonte: CO2 emissions of all world countries, 2022 report), indicazione indiretta circa la rilevante portata dell'impatto climatico di ENI.
Le associazioni denuncianti riferiscono che il 25% dei finaziamenti di Eni parlano di sostenibilità, ma la società continua invece a investire nei combustibili fossili. Più precisamente il 75% degli investimenti futuri sono già destinati agli idrocarburi, "a danno del clima e delle comunità locali che in tutto il mondo subiscono gli impatti del riscaldamento globale", scrivono Greenpeace e ReCommon.
Nell'atto alla base di questa causa civile si chiede di accertare e di dichiarare che Eni S.p.A., il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa depositi e prestiti S.p.A. (i due maggior azionisti di Eni) siano solidalmente responsabili nei confronti degli attori per danni alla salute, alla proprietà e in generale alla qualità della vita, nonché per aver messo in pericolo gli stessi ricorrenti per effetto delle conseguenze del riscaldamento climatico.
Le due associazioni e gli altri attori privati in questa causa non chiedono una quantificazione dei danni ma solo un accertamento delle responsabilità dei convenuti per i danni provocati.
La risposta di Eni alla climate litigation: richiesta di danni per diffamazione
La risposta di ENI non si è fatta attendere con una richiesta danni per diffamazione contro i promotori della litigation.
"Proprio nei giorni in cui migliaia di persone vivono sulla propria pelle gli effetti disastrosi della crisi climatica, con un tempismo davvero sconcertante ENI pensa di zittirci minacciando una causa di risarcimento danni per diffamazione", ha dichiarato Chiara Campione, responsabile dell’Unità Clima di Greenpeace Italia.
L’associazione ambientalista sottolinea come sia paradossale che la più importante azienda italiana, partecipata dallo Stato, chieda un risarcimento danni a chi sta sollecitando per via legale un reale cambiamento nelle politiche fossili, che minacciano il Pianeta e la sicurezza delle persone.
Secondo le parti accusatrici, cause come questa che Eni ha annunciato contro Greenpeace Italia e ReCommon possono essere ricondotte alle SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation, cioè cause strategiche contro la pubblica partecipazione): si tratta di cause civili che, sebbene siano spesso basate su accuse infondate, sono intentate da grandi gruppi di potere per disincentivare la protesta pubblica, sottraendo risorse economiche alle parti chiamate in causa.
La prima udienza della climate litigation di Greenpeace e ReCommon contro Eni, avverà a novembre 2023: vedremo cosa succederà, anche alla luce del "caso Shell" in Olanda.
Staff di Rete Clima