Deforestazione (cambiamenti climatici, biocarburanti, agricoltura)
I processi di deforestazione e degradazione delle foreste sono responsabili di circa il 20% delle emissioni globali di carbonio, più del totale delle emissioni globali generate prodotte dal settore dei trasporti.
Le conseguenze ambientali sono le più varie: dall'aumento dell'effetto serra, a causa della liberazione ed ossidazione dello stock di carbonio organico immagazzinato nelle piante e nel suolo, ad una variazione del regime meteclimatico locale e globale (un recente studio congiunto dell’University of Leeds del Centre for Ecology & Hydrology "Observations of increased tropical rainfall preceded by air passage over forests" ha dimostrato che l'andamento delle piogge può essere influenzato fino a migliaia di km di distanza), desertificazione, aumento del rischio incendi e molto altro ancora.
Preoccupanti le parole di Dominick Sparcklen, della School of Earth and Environment presso l’Univerity of Leeds, curatore del sopraccitato studio: “La distruzione delle foreste dell’Amazzonia e del Congo possono avere conseguenze catastrofiche per milioni di persone che vivono anche a migliaia di chilometri da questi due polmoni verdi”.
Secondo la FAO, nel periodo 2000-2010 si è verifcata "una perdita annuale di foreste pari a 13 milioni di ettari (una superficie pari alla Grecia) concentrata in Sud America, Africa e Sud Est Asiatico, compensata solo in parte da 7,8 milioni di ettari anno tra piantagioni estensive ed espansione naturale delle foreste rispettivamente concentrate in Cina ed Europa".
E le prospettive per il futuro non sono migliori dal momento che, secondo il rapporto del WWF "Living Forests" diffuso a Durban all'avvio della COP 17 nello scorso Novembre 2011, il pianeta potrà perdere fino a 55,5 milioni di ettari di foreste entro il 2020.
Ma perchè avviene la deforestazione? In prima battuta le risposte possono essere essenzialmente due: in conseguenza alle pratiche di sfruttamento non sostenibile del legname e per ricavare nuovi spazi agricoli (non necesariamente utilizzati per la produzione agricola a fini alimentare).
In riferimento al primo problema, ma perchè allora non incentivare pratiche di gestione forestale sostenibile, pur economicamente vantaggiose per le aziende che operano commercio di legname? Ebbene, parlando di aree tropicale il recente studio di Barbara L. Zimmerman and Cyril F. Kormos "Prospects for Sustainable Logging in Tropical Forests" pubblicato su BioScience mostra come queste pratiche non siano sostanzialmente realizzabili, e che l'unica forma di sfruttamento ambientalmente sostenibile per queste foreste sia quello legato all'economia di sussistenza, per il prelievo di pochi alberi per ettaro con turni di taglio di decine di anni.
Nel caso invece si operi in maniera più intensiva, gli stress determinati da prelievi più intensi potrebbero ben presto determinare situazioni di rapida degradazione dello stato di salute dell'ecosistema forestale, portando a situazioni in cui la foresta non è più capace di rinnovare naturalmente la propria biomassa (con la conseguente diminuzione dello stock di biomassa legnosa forestale).
In questo studio gli autori riportano una serie di grafici che portano a concludere come una gestione non sostenibile delle foreste trasformi la biomassa in "risorsa non rinnovabile", generando dei prelievi che mostrano la stessa dinamica del "picco" tipico delle risorse fossili e non rinnovabili: dopo il "peak oil" (il picco del petrolio) eccoci così arrivati al "peak timber" (il picco del legname).
In una recente intervista gli autori del primo studio sopracciato (Barbara L. Zimmerman and Cyril F. Kormos) sostengono che: "L'idustria forestale ha dimostrato la sua incapacità a conservare le foreste. Al contrario il taglio è solo il primo step verso l'eliminazione completa delle foreste per lasciare spazio all'agricoltura".
E arriviamo così al secondo problema: l'agricoltura.
Sarebbe ammessa, seppur con precise regole e strumenti di compensazione, la deforestazione legata alla produzione di cibo per sfamare le persone. Non possiamo però ammettere la deforestazione che abbia come scopo la produzione di biocarburanti (di prima generazione), che sono poi presentati come carburanti sostenibili e sempre più promossi in diversi Stati del mondo.
Carburanti che sono moralmente discutibili a livello di competizione con l'alimentazione, oltre che sicuramente insostenibili fin dall'origine in quanto spesso prodotti su terreni deforestati: ma che rischiano di essere altrettanto e paradossalmente insostenibili anche dal punto di vista energetico, dal momento che tutta la filiera (di coltivazione, lavorazione e trasporto) è basata sui combustibili fossili, e quindi energeticamente inficiata dagli input energetici non rinnovabili che alimentano la filiera produttiva.
Cosa fare allora? Sicuramente fare informazione e fare pressione per ridurre gli usi dei prodotti generati a discapito della sostenibilità delle foreste: tutto ciò mentre, a livello internazionale, si stanno sviluppano meccanismi volontari come i REDD+ che ambiscono a premiare la gestione sostenibile delle foreste oltre che la "mancata deforestazione".
Lo Staff di Rete Clima®