Economia e cambiamenti climatici alla luce dei lavori della Cop 16 di Cancun

Economia e cambiamenti climatici alla luce dei lavori della Cop 16 di Cancun.

A Cancun i negoziati sono partiti da una settimana, e le prime avvisaglie promettono tempesta.

Gli USA hanno adottato una posizione “o tutto o niente” che li potrebbe portare a boicottare l'accordo, mentre le ambizioni dell'Europa di un impegno forte in campo climatico sono messe in dubbio dalla potenziale crisi dell'euro: intanto paesi poveri e Ong denunciano tentativi di condurre i negoziati in maniera dirigistica e semisegreta, come è in parte avvenuto alla Cop 15 di Copenhagen (del dicembre 2009).

A fronte di questo ulteriore siparietto diplomatico la scienza climatica e l’economia cosa dicono?

Sul Guardian Kevin Gallagher (docente di relazioni internazionali della Boston University) e Frank Ackerman (direttore del gruppo di economia del clima dello Stockholm Environment Institute) hanno riflettuto su costi e benefici economici necessari a rallentare il riscaldamento globale.

I due constatano che le leggi della fisica non aspettano i tempi della politica, per cui è necessario fare chiarezza su quale siano le decisioni che economicamente conviene prendere.

Il tentativo di screditare la climatologia con accuse di complotti pare essere fallito e a negare la pericolosità e l'origine antropogenica del riscaldamento globale sono restati in pochi: il dibattito ora si è spostato sui costi delle politiche per il clima.

I due accademici notano come anche Bjorn Lomborg, lo "scettico" sul global warming non attacchi più la scienza del clima, sostenendo invece la necessità di una azione di contrasto al cambiamento climatico.

Ma se per la climatologia è chiaro che un riscaldamento globale al di sopra dei 2°C causerebbe cambiamenti climatici irreversibili e pericolosi, assunto fatto proprio anche dalla politica, tra gli economisti c'è chi pensa che il riscaldamento globale nelle prime fasi possa avere addirittura ricadute economiche positive.

Si tratta però di visioni eccentriche, e molto distanti dai pilastri dell'economia ambientale quali il famoso rapporto Stern, che calcola che uno scenario 'business as usual' porterebbe ad un danno economico pari ad oltre il 5% del Pil mondiale che si potrebbe ridurre quasi completamente investendo oggi l'1% del Pil in interventi per la riduzione delle emissioni.

Altri studi che contestano le teorie economiche che porterebbero all'inazione sono della Economists for Equity and Environment, rete di economisti ambientali americani.

Il loro ultimo lavoro stima economicamente conveniente nel rapporto tra costi e danni evitati puntare a stabilizzare in atmosfera la concentrazione di CO2 a 350 ppm (parti per milione). 

Gallagher e Ackerman: “Allora cosa dovrebbero concludere da questo dibattito i decisori politici?”

Per quel che riguarda la climatologia la scelta è facile: c'è una schiacciante maggioranza di studi scientifici peer-rewied che mette in guardia sui rischi del global warming, mentre a negarli o minimizzarli è rimasta solo una minoranza di politici senza competenze specifiche.

Gallagher e Ackerman: “Il mondo fisico non aspetta che risolviamo la questione. Meglio scegliere le nuove teorie economiche che sono in accordo con la climatologia. Se non riusciamo ad arrivare ad un accordo che ci permetta di agire a Cancun, saremmo destinati ad un intollerabile peggioramento del clima mondiale. Fare qualcosa per il global warming ha i suoi costi, ma sono molto minori rispetto ai costi del non fare nulla”.

 

Lo Staff di Rete Clima®