Economia, sviluppo e Medioevo
“It’s the end of the world as we know it (And I feel fine)” - REM.
L’importante è rendersene conto, e iniziare a preparasi: non è detto che sia peggio. In questa logica è necessario anche non pretendere di risolvere i problemi economici generati da questo sistema economico con gli stessi strumenti che li hanno generati.
Jacques Attali, economista francese e autore del libro “Sopravvivere alla crisi”, in una intervista a Repubblica della settimana scorsa sostiene che ci stiamo dirigendo verso un mondo che assomiglia al Medioevo. Secondo Attali, la crisi innescata dalla bolla finanziaria del 2008 “non è affatto terminata nonostante i proclami trionfanti di qualche politico e banchiere. Quelli che gli anglosassoni definiscono ‘germogli’ di ripresa sono, a mio avviso, soltanto segnali passeggeri”. E poi: “Nel prossimo decennio il mondo attraverserà cambiamenti radicali, solo in parte collegati all´attuale situazione finanziaria. Ciascuno di noi sarà minacciato e dovrà trovare gli strumenti per salvarsi”. (…) “La causa più profonda di questa crisi è l´impossibilità per l´Occidente di mantenere il suo tenore di vita senza indebitarsi: su questo non è stata avviata un´adeguata riflessione”.
E potremmo aggiungere che questo concetto di debito è molto interessante, e può essere esteso anche alla relazione uomo-ambiente: l’uomo occidentale “vive a debito” verso l’ambiente, nel senso che il suo modello di sviluppo industrializzato utilizza più risorse di quelle che la Terra può naturalmente rigenerare. Un esempio su tutti è il consumo di petrolio: in pochi decine d’anni sono state captate dal sottosuolo masse di petrolio che si sono formate in decine di migliaia di anni, e che impiegheranno altrettanto tempo per potersi riformare. Il modello di sviluppo attuale si è quindi reso possibile solo in virtù di un consumo -in un piccolo periodo di tempo- di risorse naturalmente generatesi in tempi infinitamente maggiori, e come tali non rinnovabili.
Il problema è che questo modello di sviluppo occidentale è fortemente contagioso: basta osservare le economie emergenti come Cina ed India, che vogliono arrivare ai nostri insostenibili standard di produzione e consumo. Ma è utile anche i meccanismi che ancora pervadono questo momento di crisi economica mondiale: si cerca di uscire dalla crisi attraverso l’utilizzo dei medesimi strumenti economici che l’hanno generata.
Le parole di Attali: “Quello che più mi colpisce è che molti potenti vorrebbero tornare rapidamente al vecchio ordine, anche se è quello che ha scatenato la crisi finanziaria. Nell´attuale modello economico l´impresa è passata al servizio del capitale, a sua volta manipolato dalle leggi della Borsa. Le cose stanno così dal 1975, data dell´invenzione delle stock-options negli Stati Uniti”.
La sola via d'uscita proposta è la crescita, non la decrescita.
Da un articolo del Sole24ore della settimana scorsa (Luca Paolazzi riprendendo un articolo dei colleghi di testata Tabellini e Navaretti): “La priorità è tornare a crescere. Non solo, e perfino non tanto, per aumentare la ricchezza materiale. In fondo, si sente spesso dire, ci potremmo anche accontentare. Un canto ammaliante con molti padri nobili. Ma anche e soprattutto perché quando l'economia va male, la società incattivisce, vengono meno solidarietà e tolleranza, le persone si trincerano a difesa degli interessi particolari, perfino la democrazia ne è minacciata".
Andare bisogna andare, sennò si sta fermi. D’accordo.
Ma prima di ritornare a percorrere la vecchia strada, è meglio decidere dove dirigersi: sfruttando l’opportunità di una profonda crisi economica messa in crisi dalle proprie basi finanziarie, che potrebbe anche trasformarsi in una serie occasione di reindirizzo verso strade nuove. Anche perché questa strada è già stata percorsa, e ha già dimostrato i propri limiti.
E quali potrebbero essere le parole chiave per poter indirizzare una riflessione che porti a strade nuove?
Azzardiamo a proporne qualcuna: green economy, ambiente, territorio locale, decrescita, beni immateriali, qualità della vita, tempo a disposizione, relazioni tra le persone, collaborazione, microeconomie, generazione energetica distribuita (e sostenibile, in quanto prodotta da fonti rinnovabili).
Ancora Attali nella intervista su Repubblica: “Non bisogna farsi prendere né dall´ottimismo né dal pessimismo. Negli ultimi 650 milioni di anni, la vita è praticamente scomparsa sette volte dalla superficie della Terra. Oggi rischiamo che succeda un´altra volta. Ma qualsiasi minaccia è anche un´opportunità. Quando si arriva a un punto di rottura siamo costretti a riconsiderare il nostro posto nel mondo e a cercare un´etica dei comportamenti completamente nuova. Sopravviverà di noi solo chi avrà fiducia in se stesso, chi non si rassegnerà”. Solo in questo modo, concordiamo, sarà possibile non solo sopravvivere, ma anche sperare di lasciare un pianeta ancora vivibile a chi verrà dopo di noi. Questo concetto può essere definito “equità intergenerazionale”, ed ormai sono più di trent’anni che è stato coniato: con quali risultati? Forse è arrivato il momento buono.
PV