COP28: tra difficoltà e speranza ripartono i negoziati sul clima
È di nuovo COP: a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre per la ventottesima volta, come ogni anno dal 1994 (esclusa la pausa Covid) si riunisce la Conferenza delle Parti, vale a dire i paesi firmatari della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC).
Le COP hanno dettato la risposta globale per la lotta ai cambiamenti climatici: da Kyoto 1997, a Copenaghen 2009 fino all’Accordo firmato a Parigi nel 2015 che ha stabilito un quadro per mantenere l’aumento del riscaldamento globale entro i 2 °C entro fine secolo, invitando a fare tutti gli sforzi possibili per stare entro gli 1,5 °C così come da indicazioni dell’IPCC.
Le aspettative per questi appuntamenti sono sempre molto alte ma spesso i risultati non le hanno soddisfatte.
Politici, scienziati esperti di clima, associazioni e attivisti da tutto il mondo provano a dettare l’azione, a sottolinearne l’urgenza di fronte ad effetti sempre più gravi per cui già da tempo si evidenzia come siamo nel pieno di una crisi climatica.
Questa COP 28 purtroppo non nasce sotto buoni auspici.
Le contestazioni sono nate fin dalla scelta degli Emirati Arabi Uniti come paese ospitante, ma soprattutto dall’indicazione del Presidente della Conferenza il sultano Ahmed al-Jaber, Ministro dell’Industria degli Emirati ma anche strettamente collegato alla Abu Dhabi National Oil Company, la compagnia petrolifera statale.
Un petroliere da 4 milioni di barili di petrolio e 300 milioni di metri cubi di gas naturale al giorno che la BBC ha interessato con un’inchiesta: l'inchiesta svela come, nelle riunioni preparatorie della COP28, al-Jaber avrebbe utilizzato il suo ruolo per negoziare accordi commerciali sui combustibili fossili e intenderebbe usare la COP per concludere accordi petroliferi.
La BBC si è basata per la sua inchiesta su documenti raccolti dai giornalisti del Centre for climate reporting (Ccr). Qui si può trovare l’inchiesta originale dove vengono citate fonti interne ai tavoli dei negoziati climatici, con documenti e report di riunioni pre-COP28 tenutesi tra luglio e ottobre 2023 alla presenza di almeno 27 governi.
Tra questi viene citato un accordo che la compagnia petrolifera degli Emirati avrebbe proposto alla Cina per collaborare a progetti in Mozambico, Canada e Australia.
Se queste accuse fossero vere si tratterebbe ovviamente della dimostrazione dell’enorme conflitto di interessi esistente non solo per il presidente di COP28 ma per l’intera nazione ospitante e di un duro colpo ai negoziati sul clima.
Negoziati che dovrebbero concentrarsi urgentemente sulla riduzione delle emissioni di gas serra che passano inevitabilmente per un phase out dai combustibili fossili.
Ci sono anche altri aspetti negativi, come la conferma che il presidente USA Joe Biden non parteciperà, così come Papa Francesco, che avrebbe fortemente voluto recarsi a Dubai ma non potrà farlo a causa dei suoi problemi di salute.
Mancherà la sua promozione del dialogo, «per la difesa del creato e per arginare la dilagante cultura dello scarto e la sua logica dell’usa e getta, che giustifica qualsiasi tipo di rapporto utilitaristico con l’uomo e l’ambiente».
E ancora, come riporta Avvenire: «Se abbiamo fiducia nella capacità dell'essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la Cop28 porti a un'accelerazione della transizione energetica. Questa Conferenza può essere un punto di svolta».
Questa COP28, parte quindi sotto auspici non buoni e senza grosse certezze.
L’unica certezza che abbiamo è che questo è un momento fondamentale per i negoziati, una delle ultime opportunità concrete per mantenersi sotto le soglie critiche rispetto a conseguenze potenzialmente devastanti.
Il tempo per contenere davvero le emissioni sta diventando un conto alla rovescia: ci auguriamo che le Parti presenti a Dubai concretizzino questa consapevolezza.