Dissesto idrogeologico e pianificazione territoriale
Chi scrive si è occupato per qualche anno di rischi naturali, in particolare di frane. Nell’ambito della pianificazione territoriale è necessario considerare i rischi naturali presenti sul territorio stesso, sia per la pianificazione della localizzazione delle strutture ed infrastrutture antropiche sia per la definizione ed attuazione delle misure di mitigazione, a diminuzione della pericolosità (dell’evento) e soprattutto della vulnerabilità (delle strutture esposte a questo rischio).
A fronte della sana teoria, comunque affermata da anni nel mondo scientifico, nella realtà accadono sciagure che provocano la morte di persone e la distruzione di beni. Di fronte agli eventi dei mesi scorsi in Sicilia a Calabria verrebbe da chiedersi: ma davvero questi fenomeni e questi lutti erano inevitabili?
E’ brutto fare queste analisi a fatti accaduti, e a lutti ancora vivi, ma non è possibile evitarlo.
Se il territorio del sud-Italia si sta ribellando all’uomo ed al suo uso del suolo la ragione sta nei decenni di abusi edilizi (peraltro puntualmente ed impropriamente sanati) e di stravolgimenti nell’uso del suolo perpetuati dagli amministratori di ogni colore politico che si sono succeduti negli anni. E' pur vero che nell’autunno-inverno 2009 si è verificata una piovosità superiore alla media (peraltro il trend atteso in alcune regioni d’Italia quale effetto dei cambiamenti climatici in atto) ma è chiaro che se invece ci fosse stata una pianificazione edilizia efficace sul territorio, le frane sarebbero accadute in terreni non frequentati dall’uomo Quindi senza danni necessariamente rilevanti. E’ pur vero che la mappatura del rischio franoso del territorio non è una informazione di vecchia data, ma è anche vero che in assenza di specifiche e puntuali informazioni da parte dei servizi geologici nazionali sarebbe dovuta storicamente entrare in gioco la competenza e la sensibilità di chi amministra il territorio.
Il quale, conoscendo il territorio dove lui stesso vive, avrebbe potuto e dovuto pianificare lo sviluppo futuro del territorio medesimo anche sulla base della serie storica di eventi naturali rischiosi che hanno interessato il territorio in passato: eventi noti, dato che si tratta di fenomeni osservati direttamente o che avrebbe dovuto conoscere in quanto presenti nel sapere storico degli abitanti.
La sociologia ambientale parla di “sapere locale”, tipico di chi vive il territorio, e quindi lo conosce, anche in termini di rischi naturali lì presenti e di aree esposte a questi medesimi rischi. La sana teoria vorrebbe che questo sapere locale si affianchi al “sapere esperto” degli scienziati, supportandolo nell’azione pianificatoria con la sua competenza non esperta a livello scientifico ma consapevole delle problematiche locali.
Certo che quando gli interessi edilizi privati prevalgono sui principi di pianificazione sviluppo armonico e sostenibile del territorio……..
Però c’è forse anche un altro aspetto, che qui vale la pena riportare, a proposito del ritardo interessato nella realizzazione delle opere di prevenzione o di messa in sicurezza del territorio ad eventi avvenuti.
Si trae spunto da un articolo di Giuseppe Sunseri (Sinistra ecologia e libertà Palermo), riportando fedelmente le sue parole: “Ma c'è anche un aspetto squisitamente politico. E nasce da una testimonianza storica, affidata ormai agli atti processuali istruiti da Giovanni Falcone.
Quando nel 1984 Tommaso Buscetta iniziò a parlare disse chiaro di avere appena incontrato a Roma un capofamiglia di Palermo, il suo capofamiglia, il quale gli suggeriva di rientrare presto nella sua città perché si stava preparando un grosso affare, il recupero del Centro Storico, gestito secondo la logica messa a punto negli anni '50 da Vito Ciancimino.
Si trattava semplicemente di non intervenire mai subito nel recuperare qualsiasi opera danneggiata, ma bisognava lasciarla andare in malora e poi ordire una grande campagna stampa che ne denunziasse l'abbandono e l'urgenza di intervento. In questo modo, secondo Ciancimino, si sarebbe messo in movimento molto più denaro pubblico rispetto agli interventi solerti, ed inoltre si sarebbero gestiti gli appalti delle opere sotto la somma urgenza che avrebbe permesso di evitare bandi formali e controlli eccessivi per andare a rapidi affidamenti diretti dove possibile.
Questa come si vede è una logica ormai consolidata in chi ci governa e si può intravedere sia nelle frane che fanno scendere a valle,dopo decenni, terreni non più coltivati ma abbandonati al loro impoverimento strutturale, e sia nella stessa gestione del Centro Storico terremotato de l'Aquila.
Anche qui l'obiettivo è solo la lievitazione dei fondi pubblici necessari: basta transennare tutta la parte storica diroccata senza recuperare neppure i materiali e attendere. Si interverrà solo quando sarà in malora e però l'urgenza orchestrata mediaticamente permetterà la distribuzione allegra di ricchi appalti.
Solo che questa volta la popolazione se ne è accorta ed ha reagito; e così speriamo possa continuare ad avvenire con il nostro intervento. Bisogna rientrare in contatto con la gente ed impedire questi sprechi sostenuti dalla dittatura mediatica”.
In linea generale concordiamo con le parole di Sunseri: i cittadini devono ritornare soggetti attivi e protagonisti della gestione del proprio territorio. Se non lo fanno loro, chi altro può farlo?
PV