Stop ai sacchetti di plastica: 300 sacchetti in meno a testa all’anno per ogni italiano
Dal 1° gennaio 2011 è entrato in vigore il divieto di commercializzazione di sacchetti non biodegradabili, ma è concessa la distribuzione (gratuita) di sacchetti di plastica fino a fine scorte.
Si tratta di un risultato ottenuto grazie all'opposizione del ministro Prestigiacomo al decreto Milleproroghe che voleva posticipare ancora una volta l'eliminazione dei sacchetti in plastica al 31 dicembre 2011: in questa maniera si è riusciti a rispettare la scadenza suggerita dalla norma EN 13432 (norma europea sulla “compostabilità degli imballaggi”), il che è una buona operazione.
Si consideri che l'Italia è tra i massimi consumatori di buste di plastica in Europa (con un utilizzo medio di 300 sacchetti a testa all'anno, appunto), e che qui arrivano anche un quarto di 100 miliardi di buste utilizzate in Europa (generalmente importate dalla Cina, dalla Thailandia e dalla Malesia).
Il divieto di vendita di questi sacchetti significa un “risparmio” in Italia di circa 20 miliardi di buste nel solo 2011, un contributo determinante al contenimento dei rifiuti.
Ma dal punto di vista ambientale qual è l’impatto di questi sacchetti?
Secondo uno studio dell'Agenzia per l'Ambiente del governo australiano 1 Kg di sacchetti provoca emissioni di circa 2,1 Kg di CO2.
Si consideri anche che per la completa degradazione in ambiente di un sacchetto in plastica, spesso utilizzato solo per una manciata di minuti, occorrono circa 200 anni: si tratta di un lasso tempo impressionante, cioè ben più del doppio dell’aspettativa media di vita di un uomo occidentale.
In una logica di ciclo di vita, il ritmo di consumo dei sacchetti di plastica usa e getta è di gran lunga superiore ai tempi necessari al pianeta per uno smaltimento sostenibile di questi scarti.
Se invece pensiamo ad una degradazione dei sacchetti operata da mano umana, non si può non parlare dell’inquinamento dell’aria dovuto al loro incenerimento –pardon, “termovalorizzazione”- con conseguenze sia sull’aggravio dell’effetto serra naturale, che sulla salute pubblica di chi vive intorno agli inceneritori (leggasi questo articolo sulle “nanopatologie”, cioè patologie da nanoparticelle liberate in atmosfera con la termovalorizzazione dei rifiuti).
L’inquinamento da buste di plastica riguarda evidentemente anche l’idrosfera –fiumi, mari, oceani– che si riempiono di sacchetti diventando vere e proprie discariche e rappresentando una minaccia per la sopravvivenza di specie viventi e di interi ecosistemi.
Secondo l'Unep (il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente) sono circa 100mila gli animali (quali uccelli e mammiferi marini, cetacei) che muoiono per soffocamento, per blocchi intestinali o per lesioni di varia natura dopo aver ingerito plastica.
Qual può essere la soluzione?
Tra le tante possibili a noi piace segnalare quanto proposto dalla campagna “Porta la Sporta” di Comuni virtuosi: è una buona idea ed un buon esempio, basta ricordarsi di portare da casa la propria borsa (in stoffa, “usa e non getta”) per prevenire il consumo di sacchetti che –anche se biodegradabili- sono sempre un inutile spreco di materia.
Secondo Legambiente "il 73% degli italiani ha manifestato l’intenzione di adoperare sportine riutilizzabili", ma è comunque necessario il forte coinvolgimento degli operatori commerciali.
Infatti, come ha fatto notare lo stesso ministro Prestigiacomo a proposito di questa abolizione: “è una grande innovazione, quella introdotta dal governo che segna un passo in avanti di fondamentale importanza nella lotta all’inquinamento, rendendoci tutti più responsabili in tema di riuso e di riciclo. Perché il provvedimento possa però produrre risultati concreti, è necessario il coinvolgimento pieno degli operatori commerciali, della piccola e della grande distribuzione, perché sperimentino su larga scala sistemi di trasporto alternativi ai sacchetti di plastica, e dei cittadini”.
Buona sporta!
Lo Staff di Rete Clima®