Cambiamento climatico: prevenire è meglio che curare (e costa meno che riparare i danni degli eventi meteoclimatici estremi)
La saggezza delle nonne non sbaglia neppure parlando di climate change: prevenire è meglio che curare. E la previsione dei costi per il contrasto al cambiamento climatico evidenzia questa logica, mostrando i chiari vantaggi di una immediata azione preventiva rispetto ad una situazione di inazione, che porterebbe all’aumento dei fenomeni meteoclimatici estremi collegati al climate change con i relativi danni (ed i costi ad essi connessi).
Se già il Rapporto Stern del 2006 quantificava il vantaggio dell’azione odierna per il constrasto al climate change rispetto all’inazione, anche diversi report più recenti vanno nella medesima direzione, addirittura quantificando i capitali necessari per una azione coerente con le urgenze ambientali: la logica che li accomuna è che operare prevenzione oggi costa meno dei soli costi di riparazione dei "danni climatici" che ci attendono già in breve futuro (sempre più caldo).
Anche il recente report “The Green Investment Report: The Ways and Means to Unlock Private Finance for Green Growth”, rilasciato in occasione del World Economic Forum (WEF), precisa che ad oggi basterebbero 36 miliardi di dollari di nuovi investimenti per la tutela del clima: un valore che, come abbiamo già visto, è inferiore ai danni causati nel 2012 negli USA dal solo uragano Sandy (la cui stima è di circa 50 miliardi di dollari).
Citazione dal report WEF: “I costi aggiuntivi necessari per rendere ecologica la crescita sono insignificanti a confronto con quelli del non agire”.
E poi: “Una maggiorazione di solo 36 miliardi di dollari (annui) rispetto agli attuali investimenti del settore pubblico per lottare contro il global warming (96 miliardi di dollari) sarebbe sufficiente per mobilitare dei capitali privati dell'ordine di 570 miliardi di dollari. Questo investimento permetterebbe così di rispondere ai 700 miliardi necessari per affrontare la minaccia più pressante che pesa sull'economia mondiale”.
Considerando infatti che, secondo il WEF, ogni dollaro pubblico di maggiorazione dell’investimento pubblico per la green economy e la decarbonizzazione dell’economia può indurre un corrispondente investimento privato 4-5 volte superiore, una maggiorazione annuale di 36 miliardi di dollari di investimento pubblico (passando dagli attuali 90 miliardi $/anno ai 126 miliardi $/anno di investimenti pubblici) porterebbe quindi alla mobilitazione di 700 miliardi di dollari in più ogni anno.
Se in uno scenario business as usual da qui al 2020 si investiranno circa 5.000 miliardi di dollari all'anno in infrastrutture, per decarbonizzare il sistema energetico e poter rimanere al di sotto alla soglia dei 2 °C secondo il WEF bisognerebbe investire complessivamente ogni anno 700 miliardi in più (oltre che pensare ad una transizione degli investimenti dello scenario BAU verso soluzioni più green).
Ad ulteriore prova della moltiplicazione degli investimenti verdi, il Green Investment Report porta l'esempio virtuoso della Banca Mondiale il cui investimento di 6 miliardi di dollari in fondi climatici ha attirato un cofinanziamento dal mondo privato pari a circa 8 volte tanto (cioè circa 8 dollari di cofinanziamenti per ogni dollaro investito dalla WB).
Ancora dal report del WEF: “In un'epoca nella quale gli eventi climatici estremi sono sempre più frequenti e sempre più costosi, i governi che hanno a che fare con delle restrizioni di bilancio sono alla ricerca di nuove soluzioni per rispondere ai cambiamenti climatici. Un investimento di quest'ordine potrebbe contribuire a stabilizzare le temperature nel mondo e sarebbe inferiore al budget recentemente approvato dal Congresso degli Stati Uniti (50 miliardi di dollari) per ricostruire le infrastrutture dopo il passaggio dell'uragano Sandy”.
Secondo il “Climate Vulnerability Monitor” (2nd Edition, settembre 2012) del Climate vulnerable forum, il cambiamento climatico provoca ogni anno circa 5 milioni di morti e costa 1.200 miliardi di dollari all'economia globale, cioè l'1,6% del Pil mondiale (sempre a proposito dei già citati USA, ricordiamo che qui il costo delle catastrofi naturali nel solo 2012 ha superato i 110 miliardi di dollari).
E se già oggi il global warming costa l’1,6% del PIL annuo, il report del Wef prevede che: “Entro il 2030 il costo combinato dell'evoluzione del clima e dell'inquinamento atmosferico raggiungerà il 3,2% del Pil mondiale. Saranno i Paesi meno sviluppati ad essere colpiti in pieno con perdite che raggiungeranno l'11% del loro Pil”.
(elemento grafico estratto dal sopraccitato Climate Vulnerable Monitor)
Un impatto violentissimo, capace di azzerare qualunque crescita economica, con la prospettiva di un riscaldamento climatico indirizzato verso i + 4°C (così come anche previsto dal report della World Bank, rilasciato prima della fallimentare Cop 18 di Doha del dicembre 2012), con la conseguenza di ondate di calore estreme, tempeste tropicali più devastanti, diminuzione degli stock alimentari e forte innalzamento del livello dei mari.
(infografica collegata al sopraccitato report della World Bank)
Il rapporto sottolinea inoltre che: “L'aumento degli investimenti nelle energie rinnovabili e nelle infrastrutture verdi potrebbe incoraggiare lo sviluppo sostenibile, ridurre le emissioni di gas serra e stimolare la crescita economica mondiale. I governi devono mirare il finanziamento pubblico per attirare i capitali privati verso gli investimenti verdi utilizzando delle misure come le cauzioni, i prodotti assicurativi o le misure di incentivazione quando si basano su politiche appropriate”.
Proprio in questa logica il WEF sottolinea il fatto che il G20 “deve accelerare la fine dei sussidi alle fonti fossili”, l’esatto contrario di quanto sta accadendo in questi anni (come peraltro ben descritto dal WEO 2012).
Infine, dal report del Wef: "E' urgente investire al fine di evitare l'eventuale impatto devastante del global warming e dei fenomeni meteorologici estremi, quali quelli ritrovati in numerose regioni del mondo nel 2012. Gli scienziati ammettono che le condizioni meteorologiche estreme costituiscono oggi 'la nuova norma' e che non solo costano care all'economia mondiale, ma che il loro costo aumenterà ancora. Se non interveniamo, il mondo subirà un aumento della temperatura media di 4°C entro la fine del secolo. Secondo gli specialisti, questo potrebbe innescare altre catastrofi, comprese ondate di calore estreme, tempeste tropicali più devastanti, la diminuzione degli stock alimentari e l'innalzamento del livello dei mari che colpirebbe centinaia di milioni di persone".
Lo Staff di Rete Clima®
Clicca qui per il download dell'executive summary del report "Climate Vulnerability Monitor", seconda edizione (settembre 2012)
Clicca qui per il download dell'executive summary del "Green Investment Report 2013" del WEF (gennaio 2013)
Clicca qui per scaricare il report della World Bank (dal sito ufficiale).