Picco di petrolio (peak oil): in Gran Bretagna ne hanno paura
Il problema non è quanto petrolio sia ancora disponibile sulla Terra (le cosiddette "riserve"), ma quanto petrolio economicamente sfruttabile ancora rimanga sul nostro pianeta. Al di là dell'accessibilità geologica al petrolio di un pozzo si deve parlare anche di "accessibilità economica", cioè la possilità di reale sfruttamento del giacimento in ragione di costi di captazione economicamete ragionevoli.
Ma nell'ambito dello sfruttamento di una risorsa non rinnovabile si deve anche considerare il fatto che il suo prelievo non segue una cinetica lineare ma curvilinea, arrivando ad un punto a cui il tasso di prelievo (la "produzione") non riesce più a crescere.
Ragionando in questa logica si può comprendere che cos'è il picco di petrolio (o peak oil), il punto più alto della curva matematica che modellizza il prelievo di una risorsa non rinnovabile (come il petrolio), e che rappresenta "l'inizio della fine" della risorsa stessa, il più grande segnale del suo esaurimento prospettico: giunti a questo punto il tasso di prelievo della risorsa non può fare altro che decrescere.
E cosa succede nel caso di una risorsa strategica, quindi caratterizzata da una curva di domanda rigida, che inzia ad avere problemi di disponibilità quantitativa sul mercato? In una logica di mercato, appunto, se la domanda di un bene cresce ma la sua offerta resta costante (o addirittura decresce), il prezzo va alle stelle.
Al di là dell'oggettiva speculazione finanziaria, nel 2008 si è verificata una dinamica simile e gli effetti sono ancora nella memoria di tutti: il problema più significativo è stato legato ai trasporti, che dipendono totalmente dai carburanti petroliferi.....ma senza trasporti non c'è modo di scambiare le merci prodotte, non c'è economia. Dopo il 2008 è iniziata la crisi economica globale, che ha fatto diminuire la produzione economica globale e quindi i consumi di petrolio, tanto che il suo prezzo è tornato a livelli "normali". Ma se la domanda economica tornasse a crescere? E' di facile previsione, prezzi del petrolio alle stelle con tutte le conseguenze economiche purtroppo facilmente prevedibili.
Il 21 marzo il quotidiano inglese Guardian, da sempre attento alle problematiche ambientali ed energetiche, riportava la notizia di un meeting che sarebbe stato a breve organizzato dal Ministro dell'Energia inglese Lord Hunt per traquillizzare le aziende inglesi circa le prospettive di accesso al petrolio, stante la problematica del picco imminente.
Effettivamente gli imprenditori inglesi iniziano ad essere preoccupati del picco, tanto che è Richard Branson della Virgin ha detto: "I prossimi cinque anni ci vedranno affrontare un'altra crisi, la crisi petrolifera. Questa volta, abbiamo la possibilità di prepararci. La sfida è usare bene il tempo".
Il problema c'è, e fa paura, data la totale dipendenza del sistema economico attuale dalla fonte petrolifera: secondo il Telegraph i dati sulle riserve petrolifere prospettiche sono stati aggiustati, tanto per stare traquilli. Secondo uno studio dell'Università di Oxford molto pubblicizzato dai giornali inglesi qualche giorno orsono, le riserve petrolifere mondiali sarebbe state appositamente esagerate di oltre un terzo, mentre il sorpasso della domanda petrolifera sull'offerta sarebbe vicino (intorno al 2014): la ricerca sostiene che le riserve di petrolio convenzionale non siano di 1200 miliardi di barili ma di circa 900 miliardi.
Una notizia del genere non è completamente nuova, dato che già nel Settembre 2009 il Guardian riportava la notizia che la IEA (International Energy Agency) nel suo rapporto in uscita in quei giorni (il WEO 2009 - World Energy Outlook 2009) avesse consapevolmente gonfiato le stime sulla produzione petrolifera mondiale, su richiesta degli Stati Uniti.
Il motivo: non scatenare il panico economico per la limitatezza prospettica del combustibile su cui si fonda l'intera economia mondiale.
A fronte di ampie proteste verso il Guardian per le sue chiare accuse ai dati della IEA, nel Novembre del 2010 il Guardian stesso aveva pubblicato un articolo altrettanto chiaro rispetto al precedente, di cui qui si riporta qualche passaggio: "L'establishment economico internazionale, inclusa l'IEA, ha in mente un unico proposito molto chiaro: niente panico. La loro missione sembra solo quella di mantenere i mercati tranquilli. (...) Molte persone hanno visto arrivare il picco, ma sono state marginalizzate, costrette al silenzio e l'evidenza è stata relegata alle note a piè di pagina. (...) Finora, nell'affrontare quest'immane sfida, il nostro sistema politico ed economico è stato incapace di fare i conti con la realtà. Siamo stati obbligati ad andare avanti nell'illusione che abbiamo un sacco di tempo per rimediare e che non abbiamo bisogno neppure di parlarne, o di pensare a come sarebbe il mondo senza fiumi di petrolio. La realtà è diventata troppo pericolosa".
Pare quindi che la previsione per un picco di petrolio intorno al 2030 sia più che ottimista: fonti indipendenti tuttavia ritengono il “picco” molto prossimo: secondo alcuni è già stato addirittura raggiunto e superato; secondo un rapporto dell’agenzia governativa inglese Energy Research Council il picco di petrolio arriverà probabilmente intorno al 2020.
Fonti anonime dell’Iea hanno detto al Guardian che in realtà siamo già entrati nel “picco del petrolio” e che molti fra gli esperti stessi dell’Iea sono consapevoli delle stime gonfiate: ma, ripetiamo, lavorano con l’imperativo categorico di non scatenare il panico sui mercati e neppure la preoccupazione fra gli statunitensi a proposito degli approvvigionamenti futuri.
Sia come sia, ritornando al recente meeting inglese questo è stato effettivamente svolto, come raccontato da questa fonte: quanto ne è uscito è veramente interessante. Un intervento della Peak Oil Task Force ha analizzato le dinamiche della produzione petrolifera prospettica, chiarendo che difficilmente si raggiungeranno i 90 milioni di barili al giorno (a fronte di previsioni del WEO 2008 secondo cui c'era possibilità di aumentare il prelievo dagli 83 milioni di barili/giorno a 105 milioni di barili/giorno) e che da quel momento comunque non si potrà che scendere. Come quantità, ma di certo con come prezzi, che saliranno invece in maniera elevatissima.
Una normale dinamica di mercato? Per una fonte energetica di così alta rilevanza per il sistema produttivo e socio-economico globale forse non è il caso di usare i normali criteri di valutazione legati scambio/prezzo dei beni economici "normali".
Sempre durante il meeting viene raccontato che Transition Network ha presentato le proprie proposte per una discesa soft dei consumi, incentrata su un mondo a bassa energia: molti sono gli esempi di comunità locali che già stanno adottando politiche di transizione.....Serge Latouche l'ha chiamata decrescita sostenbile (e felice). Di sicuro vale la pena rifletterci sopra.
SC