Costi esterni dell’energia: la parola al FMI
A seguito del nostro precedente articolo "Quanto valgono le esternalità in Italia? Molto, e in Banca godono di molto credito", restiamo sempre in tema di costi esterni (esternalità sociali ed ambientali, non quantificati seppur comunque sostenuti dalla collettività dei Cittadini) ricordando anche il recente studio del FMI (Fondo Monetario Internazionale) "Getting Energy Prices Right: From Principle to Practice", un documento che allerta la politica mondiale sul tema delle esternalità collegate alle fonti energetiche fossili.
Sottolineiamo il fatto che parlando di esternalità si intende fare riferimento a costi non quantificati, quindi costi "esterni al mercato" (da qui il nome di esternalità, uno dei tipici "fallimenti del mercato") ma non per questo non reali e concreti.
Ritornando al Rapporto, qui viene specificato come una appropriata strategia di tassazione verso carbone, gas naturale, benzina e diesel potrebbe ridurre la mortalità collegata all’uso delle fonti fossili (-63%), ridurre le emissioni di gas serra (-23%) e generare redditi (equivalenti al 2,6% del Pil globale): in particolare, considerate le rilevanti esternalità del carbone, il report del Fmi suggerisce una tassa ambientale di almeno il 50% del controvalore rispetto ai suoi prezzi medi odierni, e di almeno il 40% per la benzina.
Ian Parry (Fmi): "Nel nostro studio, offriamo una guida pratica ai Paesi su come fare per quantificare gli effetti collaterali nocivi del consumo di energia e dimostriamo cosa questo comporta, per oltre 150 Paesi, per tasse correttive su carbone, gas, benzina e diesel su strada. Per esempio, gli effetti sulla salute dell’aria inquinata sono misurati valutando quante persone nei diversi Paesi sono esposte alle emissioni delle centrali a carbone, dei veicoli e così via; combinando questi dati con le prove portate da esperti della salute su come l’esposizione all’inquinamento può aumentare il rischio di varie malattie cardiache e polmonari, il quadro è definito".
Ricordiamo anche che le fonti fossili, con riferimento al petrolio convenzionale (cioè il petrolio non estratto da scisti o similari), hanno già raggiunto il proprio "picco" (picco di petrolio - peak oil) nel lontano 2005 ed oggi sempre dimostrano le logiche "post peak": il Telegrah riporta il dato secondo cui negli ultimi 6 anni il costo legato a nuove esplorazioni petrolifere è ammontato a 5.400 miliardi di dollari (+300% rispetto ai valori impegnati all'anno 2000), a fronte di un conseguente aumento di produzione pari ad un modestissimo + 14%.
Al di là della bolla speculativa sulle fonti fossili che rischia di esplodere, con tutte le potenziali enormi conseguenze sul "mondo reale" ancora oggi legato ad una totale quanto pericolosa (ed inquinante!) dipendenza dal petrolio, vale la pena ricordare le parole di Christine Lagarde, Direttrice del FMI e persona votata alle politiche economiche liberiste, la quale arriva -correttamente- ad affermare che: “Per un’economia è un male essere declassata, ma è ancora peggio essere degradata. Abbiamo capito che quando l’ambiente è degradato, anche l’economia è degradata”.
Lo possiamo interpretare come un segno dei tempi che cambiano?
Non v'è dubbio che sia un segno del cambiamento dei tempi il fatto che, come annunciato lunedì dal New York Times, il Rockefeller Brothers Fund (l’organizzazione degli eredi Rockefeller) disinvestirà il proprio portafoglio da 860 milioni di dollari da investimenti basati sulle fonti energetiche fossili, unendosi alle attuali 180 organizzazioni che costituiscono il movimento di disinvestimento dalle fonti fossili: qui il loro comunicato ufficiale.
Un segnale importante anche nei confronti del summit sui cambiamenti climatici dell'ONU attualmente in corso a New York.
Lo Staff di Rete Clima®