Quanto costa l’incentivazione alle fonti non rinnovabili? Ecco i costi interni ed esterni (esternalità)!
La scorsa primavera il World Energy Outlook 2014 della IEA (Agenzia Internazionale per l'energia) precisava come nel 2013 i sussidi economici al consumo verso le fonti energetiche fossili (quali carbone, gas e petrolio, complessivamente responsabili dell’84% delle emissioni antropogeniche di gas serra), avessero raggiunto i 550 miliardi di dollari.
La sola Germania ha contribuito all'economia fossile con 30 miliardi di euro nel periodo 1999-2011, ma non è stata neppure la peggiore (per lo meno a livello pro-capite): secondo il recente studio "Counting the Cost of Energy Subsidies" del Fondo Monetario Internazionale (FMI) stima che il leader di questa strategia di incentivazione verso le fonti fossili sia invece il Lussemburgo, con un controvalore pro-capite di 3.415 euro a persona per anno.
La banca mondiale offre invece valori di incentivazione alle fonti fossili erogati nel periodo 2010-2014 nei soli 34 Paesi OCSE e in Cina, India, Brasile, Russia, Indonesia e Sudafrica compresi tra i 160 ed i 200 miliardi di dollari.
Ma se in questa contabilità di incentivi alle fonti fossili si contabilizzassero anche i costi che la collettività indirettamente paga per i danni ambientali e sanitari connessi al loro consumo, il costo reale di incentivazione sarebbe destinato ulteriormente a crescere: qualora infatti si considerino anche i danni ambientali e sanitari intrinsecamente connessi al ciclo di vita delle fonti energetiche fossili ed all'inquinamento collegato, lo studio della IEA con cui abbiamo aperto l'articolo stima un costo complessivo (costi interni e costi esterni) di incentivazione di circa 1.900 miliardi di dollari (pari a circa il 2,5% del PIL annuale globale).
La redditività delle aziende del petrolio è altissima. Come indicato nel report della Cambridge Judge Business School "Quantifying the implicit climate subsidy received by leading fossil fuel companies", nell'esercizio 2014 la ExxonMobil (la più grande tra le imprese petrolifere globali) ha realizzato 32,5 miliardi di di dollari di profitto: ma se in questi valori economici andassimo invece a includere i costi esterni ambientali e sociali generati dai combustibili fossili, la redditività reale per le imprese del settore andrebbe completamente ad azzerarsi.
(fonte: Greenpeace, indicazione delle principali aziende che hanno responsabilità climatiche)
Così si esprime il sopra citato studio della della Cambridge Judge Business School, che ha misurato il costo sociale collegato al ciclo di vita di prodotti petroliferi (produzione ed utilizzo) quali gas e carbone attraverso l’analisi di 20 tra le principali aziende del settore: tale analisi mostra un valore di "costi nascosti" (le cosiddette "esternalità") rispettivamente pari a 755 milioni di dollari nel 2008 e 883 milioni nel 2012, valori grossomodo equivalenti al valore complessivo dei redditi prodotti nei medesimi anni dalle medesime Aziende del settore petrolifero (e rispettivamente pari al 8,2% dei ricavi nel 2008 e all’8,6% nel 2012).
Dallo studio: "Le società analizzate complessivamente sono altamente redditizie, con un utile netto pari a circa l’8,2% dei ricavi nel 2008 e l’8,6% nel 2012. Tuttavia questo non tiene conto del costo economico “sociale” nascosto, causato nel momento in cui i loro prodotti sono utilizzati e, bruciando, emettono CO2 nell’atmosfera".
Di seguito un grafico estratto dallo studio di cui sopra, che mette in relazione i costi generati dalle diverse aziende rispetto ai loro utili nel periodo 2008-2012.
Analizzando emissioni e costi rispetto ai singoli Stati Nazionali, nel Regno Unito -per esempio- il carbone è stato responsabile lo scorso anno di circa 87 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 (il 16% di tutte le emissioni di gas a effetto serra del paese) una cifra otto volte superiore a quella della Francia, che però nasconde un retro della medaglia davvero inquietante.
Infatti, focalizzandosi sugli effetti sanitari di tale incentivazione, secondo la relazione sulla produzione di carbone in Europa realizzata da Climate Action Network Europe (Cane), i decessi correlati alle emissioni di carbone sono costati nel 2013 al Regno Unito tra i 2,47 ed i 7,15 miliardi di sterline, un valore economico che -appunto- include i costi di mortalità per malattie respiratorie e cardiovascolari correlate all’uso del carbone (come le malattie cardiache e il cancro ai polmoni).
Sempre a livello sanitario, secondo uno studio recentemente pubblicato dalla rivista Nature, ogni anno più di 3 milioni di persone muoiono prematuramente a causa dell’inquinamento dell’aria, una cifra molto più alta rispetto ai decessi provocati insieme da malaria e HIV-Aids.
Un altro studio realizzato nel 2011 da parte di un gruppo di ricerca statunitense (composto da ricercatori di Harvard, Accenture, Associazioni ambientaliste, medici, economisti,...etc.) ha calcolato il costo complessivo del "ciclo di vita" della più inquinante fonte fossile (il carbone), cioè i costi collegati all'estrazione, trasporto, combustione (per la generazione elettrica), smaltimento delle scorie: tali costi sono stati contabilizzati rispetto ai danni al clima, alla salute delle persone ed agli effetti sulle piante e gli animali che vivono intorno alle miniere. I risultati sono sbalorditivi: la somma complessiva delle esternalità (costi eterni) collegate al carbone ammontano ad una cifra tra 9,42 ed 26,89 $cent/kWh, un valore che determina un costo per la società statunitense (rispetto al suo consumo interno di carbone, utilizzato per la generazione del 39% del fabbisogno elettrico nazionale) una cifra da 400 ed i 600 miliardi di dollari l’anno.
Secondo l’Ufficio europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità non vanno però neppure trascurati i costi sanitari legati al cambiamento climatico, di cui le fonti fossili sono causa principale.
Entro il 2050, infatti, nell’Unione Europea ci si aspetta che ondate di calore possano causare 120 mila morti in più ogni anno, con un costo economico di 150 miliardi di euro se non verranno prese ulteriori misure: la stima così alta non è dovuta solo alla frequenza e all’entità delle alte temperature, ma è causata anche dai cambiamenti demografici di invecchiamento della popolazione in atto in Europa (si conti che l’ondata di caldo del 2003 ha causato 70 mila morti in più in 12 paesi europei, per lo più persone anziane).
Il cambiamento climatico influisce sulla salute pubblica in molti modi diversi. Ci sono impatti diretti e indiretti, impatti che si manifestano nel breve periodo ed impatti che si manifestano nel medio periodo, con conseguenze enormi per l'ambiente e la società umana.
Concludiamo allora citando le parole di Jim Yong Kim (Presidente della Banca Mondiale): "Dobbiamo sbarazzarci degli aiuti alle fossili ora".
E poi : "Si può perseguire una crescita in grado di proteggere il pianeta disaccoppiandola dalle emissioni. Possiamo farlo ora, ma sarebbe molto più facile se mettessimo un prezzo al carbonio".
Lo Staff di Rete Clima®