COP 21 di Parigi: c’è l’atteso accordo, ma non è ancora sufficiente
Prolungando i propri lavori oltre il termine prestabilito, ormai una abitudine, la 21° Conferenza delle Parti (COP 21) ha approvato ieri (12 dicembre) in prima serata il testo del nuovo ed atteso (e storico!) accordo globale volto a contrastare il cambiamento climatico: il testo definitivo, che entrerà in vigore dopo il 2020 in sostituzione dello storico Protocollo di Kyoto, è un documento di 31 pagine di cui 19 di introduzione e 12 di documento e la sua portata è storica.
Il documento, chiamato Paris Outcome, è di portata storica per molti motivi ed è sicuramente un passo avanti nel contrasto al climate change, anche se da alcuni punti di vista è inferiore alle attese: il documento avrà valore dal 2021 ma non sarà vincolante (perlomeno non in tutte le sue parti) per i Paesi aderenti alla UNFCCC.
Il suo rilascio è stato ritardato rispetto al termine previsto della COP 21 a causa di difficoltà negoziali nei confronti di alcuni ambiti quali: l'ambition (cioè l'obiettivo di contenimento del climate change); la ripartizione degli sforzi di riduzione emissiva tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo; l'ammontare dei finanziamenti a questi ultimi Paesi per supportarli nella sfida climatica.
Una volta entrato in vigore, l'accordo si baserà sullo storico ed assodato principio della responsabilità comune ma differenziata: ai Paesi in via di sviluppo (in particolare India e Cina) è stato infatti concesso di procedere con maggiore gradualità nelle proprie attività di riduzione emissiva, a causa della loro più recente industrializzazione.
L'obiettivo a lungo termine che emerge dalla COP21 è il mantenimento del riscaldamento globale «ben al di sotto dei 2 °C», sollecitando però sforzi di riduzione emissiva per centrare l’obiettivo di 1,5 °C.
Se alla COP15 di Copenhagen i Paesi avevano condiviso infatti l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a non più di 2 °C rispetto all’era pre-industriale, il nuovo riferimento al limite di + 1,5 °C è legato ad un obiettivo di maggior cautela che gli scienziati ritengono possa dare anche maggiori garanzie rispetto agli effetti del climate change, compresa la sopravvivenza alle nazioni insulari (le quali si sono recentemente ed oggettivamente tanto adoperate per chiedere concretezza agli sforzi climatici globali).
Ecco i punti cardine nell'accordo:
* confermato l'obiettivo di fermare il riscaldamento “ben al di sotto dei +2°C” dai livelli preindustriali, contenendolo entro i +1,5°C;
* definito un meccanismo di revisione periodica degli impegni nazionali (a seguito di un confronto circa il livello di loro raggiungimento) per un loro aumento di significatività ed ambizione;
* abbandono delle fonti energetiche fossili, per un futuro ad emissioni zero (100% energie rinnovabili entro il 2050)
* rafforzamento del meccanismo Loss & Damage, cioè il fondo volto all'erogazione di compensazioni economiche per favorire mitigazione ed adattamento in aiuto dei Paesi in via di sviluppo, maggiormente vulnerabili rispetto al climate change (il budget iniziale sarà di 100 miliardi di dollari all'anno, destinato a crescere nel tempo).
L'accordo, tuttavia, si basa sugli INDC presentati dagli Stati i quali, come già dicevamo su questo sito, porterebbero comunque ad un innalzamento della temperatura di 2,7-3,3 °C a fine secolo, superando quindi l'obiettivo dell'accordo di restare "ben al di sotto dei +2°C".
Inoltre tutti i meccanismi previsti per il funzionamento dall'accordo di Parigi andranno pefezionati nel tempo, con particolare riferimento a quelli sulla cooperazione internazionale, sull'adattamento, sul trasferimento tecnologico e sugli aspetti finanziari.
Vittorio Cogliati Dezza (Presidente di Legambiente): "Il testo dell’accordo in votazione in queste ore a Parigi pone le fondamenta per affrontare sul serio la crisi climatica che affligge il pianeta. Si va in modo irreversibile verso un futuro libero da fossili".
"Tuttavia gli impegni già annunciati alla vigilia della COP, secondo le prime valutazioni, se rigorosamente attuati sono sufficienti a ridurre soltanto di un grado circa il trend attuale di crescita delle emissioni di gas-serra, con una traiettoria di aumento della temperatura globale che si attesta verso i 2.7- 3°C. Non consentono, quindi, di contenere il riscaldamento del pianeta ben al di sotto della soglia critica dei 2°C, e ancor meno rispetto al limite di 1.5°C.
È cruciale, pertanto, una revisione di questi impegni non oltre il 2020 e purtroppo l’accordo lo prevede solo su base volontaria, rimandando al 2023 la prima verifica globale degli impegni. E’ invece urgente farlo prima del gennaio 2021, quando il nuovo accordo sarà operativo. L'Europa deve dimostrare con i fatti la sua leadership nell’azione climatica globale rivendicata a Parigi. Tornati a casa i governi europei devono tradurre in azione gli impegni assunti nell’ambito della High Ambition Coalition, che negli ultimi giorni ha svolto un ruolo importante nei negoziati".
A seguito il documento approvato a Parigi.
Lo Staff di Rete Clima®