COP16: il costo della perdita di biodiversità
In un mondo dove il capitale economico è la base di qualsiasi sistema economico nazionale e sovranazionale, inserire la natura e i servizi ecosistemici come valore dentro il paradigma economico è certamente una delle più grandi sfide di questi anni.
Tra le analisi più complete e influenti sulla relazione tra economia e biodiversità mai realizzate c’è The Economics of Biodiversity: The Dasgupta Review: pubblicato nel 2021, il rapporto è stato commissionato dal Governo Britannico e redatto dall'economista Sir Partha Dasgupta.
Per Dasgupta la natura dovrebbe essere trattata come qualsiasi altra forma di capitale economico.
Quando il capitale naturale si degrada anche il nostro benessere diminuisce, sia a livello umano che anche economico: questo cambia il modo in cui i servizi ecosistemici devono essere considerati nei calcoli economici, integrandoli come una risorsa economica critica.
Il degrado ambientale, la perdita di biodiversità e gli effetti del riscaldamento climatico sulla natura hanno complessivamente un costo esorbitante.
Secondo il report, il mondo ha già perso 3,5-18,5 mila miliardi di euro all'anno in servizi ecosistemici dal 1997 al 2011; 5,5-10,5 mila miliardi di euro all'anno a causa del degrado del suolo; 5,5-10,5 mila miliardi di euro all'anno per il degrado del territorio.
“Questi modelli sono tutti matematici quantitativi”, spiega Dasgupta in un’intervista con la rivista italiana Materia Rinnovabile: “Non è molto utile parlare di natura se non si ha una comprensione quantitativa delle cose, come ad esempio cosa accade alla produttività di un ecosistema se lo si degrada ulteriormente, o se si costruisce un progetto abitativo in una determinata area.”
Un concetto rafforzato anche dal Global Biodiversity Framework delle Nazioni Unite, in cui tutte le Aziende sono chiamate a fare la propria parte per sostenere la conservazione e il ripristino della natura.
Come calcolare i costi della perdita di natura a livello globale
Per determinare il costo della perdita di biodiversità abbiamo varie tipologie di calcolo.
Innanzitutto serve dare una valutazione economica, anche parziale, dei servizi ecosistemici (quali, per esempio: formazione di suolo, regolazione del clima, impollinazione delle colture, nutrimento, purificazione di aria e acqua), come fatto dal Dasgupta review.
Per stimarla ci sono vari metodi utilizzabili.
Il primo è quello più semplice legato ai prezzi di mercato, applicabile ad esempio ai prodotti forestali o al pesce, quantificando il costo totale di prodotto perso: in ottica di teoria neoclassica poi si può impiegare il costo di sostituzione, cioè il costo per sostituire servizi ecosistemici con alternative artificiali, come il trattamento dell'acqua se le zone umide vengono distrutte.
A esso si dovrebbe aggiungere anche il più complesso valore contingente, ovvero quanto le persone sarebbero disposte a pagare per preservare un ecosistema o evitare la sua perdita.
Per gli economisti si possono poi conteggiare i danni economici diretti. Ad esempio, nel turismo si può definire l'impatto economico diretto derivante dalla riduzione dell'attrattiva turistica dovuta all'aumento di eventi calamitosi, spesso ravvicinati tra di loro.
Altre variabili sono la valutazione del costo sanitario, dato che la distruzione delle foreste tropicali può contribuire alla diffusione di malattie zoonotiche (ricordiamo che il Covid-19 ha sottratto centinaia di miliardi di euro all’economia globale) oppure il calcolo degli impatti del cambiamento climatico laddove esso è legato alla perdita di natura (come la deforestazione).
Come calcolare gli impatti aziendali sulla natura e sulla biodiversità
Con la firma del Global Biodiversity Framework anche il mondo delle Aziende è chiamato a valutare i propri impatti aziendali verso la natura e - viceversa - gli impatti della perdita di biodiversità sul proprio business.
Per questo è nata la TFND (Taskforce on Nature-related Financial Disclosures) un'iniziativa globale con lo scopo di sviluppare un quadro di riferimento che permetta alle aziende e alle istituzioni finanziarie di identificare, gestire e divulgare i rischi e le opportunità legati alla natura e alla biodiversità.
La TFND offre 14 raccomandazioni per la disclosure di impatti, rischi e opportunità, ricordando come il Global Biodiversity Framework sia la stella polare, di come clima e biodiversità vadano tenute in stretto collegamento, dell’importanza di considerare metriche e target appropriati.
A supporto del lavoro della TFND esistono numerosi modelli e framework per calcolare gli impatti sulla natura, sono 189 i tool utilizzati.
La prima classe è legata nello specifico all’impronta ambientale aziendale, ovvero tool come il Global Biodiversity Score (GBS) di CDC Biodiversité specifico per i prodotti, il Biodiversity Impact Metric (BIM), con focus sull’uso del territorio e delle risorse naturali da parte dell’azienda, e The Biodiversity Footprint Calculator (PLANSUP).
Tool come l’Integrated Biodiversity Assessment Tool (IBAT) forniscono dati e metriche di rischio sulla biodiversità, in particolare per quanto riguarda gli habitat e le specie critiche, e informano il processo decisionale sulle priorità di conservazione: STAR, Species Threat Abatement and Restoration Metric (STAR) è invece sviluppato dalla International Union for Conservation of Nature.
Questa metrica quantifica il contributo potenziale delle azioni intraprese dalle imprese per mitigare il rischio di estinzione delle specie e ripristinare la biodiversità: consente alle imprese di modellare i benefici per la biodiversità dei propri investimenti nella conservazione e nel ripristino.
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