Zabot: l’energia nucleare è davvero “carbon free”?
Uno dei cavalli di battaglia di chi sostiene il nucleare è che le centrali nucleari non emettono CO2 e che, quindi, il ricorso massiccio al nucleare è una reale opportunità di contrastare il cambiamento climatico.
Se però si ragiona in una logica di filiera, analizzando il ciclo di vita complessivo della centrale, si scopre che solo le operazioni nel reattore sono "carbon free" (cioè senza emissioni di CO2).
Tutte le altre operazioni della filiera del combustibile –dall’estrazione dalle miniere, frantumazione e macinazione, fabbricazione del combustibile, arricchimento e gestione delle scorie- oltre che la stessa costruzione della centrale ed il suo decomissioning (messa fuori servizio a fine vita) e la gestione delle scorie nucleari necessitano –invece- di parecchia energia (fossile).
E quindi emettono CO2, esattamente come capita per l’idrogeno che è pulito e sostenibile solo a parole, se si considera cioè SOLO il suo utilizzo finale, ma meno che mai nei fatti.
Ma lasciamo parlare Sergio Zabot (Direttore dell’Ufficio Energia della Provincia di Milano) a proposito di nucleare: “Senza entrare nel merito delle operazioni di decommissioning e di trasporto e riprocessamento del combustibile esausto, che necessitano di un'analisi a parte, in questo breve scritto mi focalizzo solo sull'aspetto delle emissioni di CO2 dovute alla produzione del combustibile nucleare.
Queste emissioni sono state quantificate ormai da molti ricercatori indipendenti dall'industria nucleare. I primi lavori sono stati pubblicati da Nigel Mortimer, (1) fino a poco tempo fa capo unità delle ricerche sulle risorse presso l'università Hallam di Sheffield in Gran Bretagna. Nel 2000 uno studio molto dettagliato è stato condotto da Joe Willem Storm Van Leeuwen, (2) docente dell'Università di Groningen, in Olanda e Philip Smith, fisico nucleare in Olanda. Questi studi rivelano che le emissioni di CO2 dipendono fondamentalmente dalla concentrazione di Ossido di Uranio (U3O8 - detto anche "yellowcake") nel minerale estratto. Se consideriamo il minerale "high grade" con un minimo di 0,1% di ossido di uranio, da ogni tonnellata di minerale grezzo si ricava un kg di ossido di uranio. Se prendiamo in esame il più diffuso "low grade", ossia con concentrazioni non inferiori allo 0,01% di ossido di uranio, per ottenere un kg di yellocake occorre trattare 10 tonnellate di minerale.
Se poi consideriamo che nello "yellocake" la concentrazione di Uranio fissile (235) rispetto l'Uranio naturale (238) è intorno allo 0,5% e che per alimentare i comuni reattori di potenza nel mondo occorre operare un processo di arricchimento che porti l'isotopo fissile 235 tra il 3% e il 5%, Van Leeuwen e Smith hanno calcolato che il consumo di energia fossile per questi processi di fabbricazione è così grande che le quantità di CO2 emessa è comparabile con quella emessa da un equivalente ciclo combinato alimentato a gas naturale.
Secondo D. T. Spreng, (3) (Net-Energy Analysis, 1988) la Richiesta di energia per la vita operativa di un reattore ad acqua pressurizzata (PWR) da 1000 MWe che produce 200.000.000 MWh è di 5 Milioni di tep di energia fossile, dei quali 4 Mtep sono consacrati alle fasi di estrazione del minerale, macinatura, conversione, arricchimento e produzione del combustibile. Ciò significa che ogni 1.000 kWh prodotti occorre spendere 200 kWh di idrocarburi con le relative emissioni inquinanti e climalteranti.
Occorre rilevare poi che le quantità conosciute di riserve di uranio con "grado" superiore allo 0,01% sono molto limitate e che la maggior parte delle risorse sono "low grade". Con il contributo attuale alla produzione elettrica mondiale di circa il 16%, le riserve di "high grade uranium ores" possono durare pochi decenni con prezzi sempre più crescenti. Non dimentichiamo che negli ultimi anni il prezzo dello "yellowcake" è sestuplicato, passando dai 20 $ per libbra nel 2000 a 120 $ per libbra nel 2007.
La quantità di CO2 che viene emessa nel processo di lavorazione dell'uranio è quindi considerevole e le analisi dettagliate sono ancora limitate. Sebbene queste analisi siano fondamentali per poter condurre un dibattito serio sul "ritorno al nucleare", esse non vengono mai menzionate. Un altro aspetto critico nel processo di produzione di uranio è la grande quantità di acqua necessaria, anche questo sempre taciuto. Ma questo merita un approfondimento a parte".
Più chiaro di così!
Lo Staff di Rete Clima®
(1) Mortimer, N 1991, “Nuclear power and global warming”, Energy Policy 19:76-8, Jan-Feb.
(2) Van Leeuwen, Jan Willem Storm and Smith, Philip 2005, “Can nuclear power provide energy for the uture; should it solve the CO2-emission problem?” www.stormsmith.nl
(3) http://italy2.peacelink.org/mosaico/docs/1923.rtf per la contabilità del ciclo di produzione dell'uranio, vedi anche: Sustainability Aspects of Uranium Mining : Towards Accurate Accounting ? Gavin M Mudd, Mark Diesendorf
(4) http://nzsses.auckland.ac.nz/conference/2007/papers/MUDD-Uranium-Mining.pdf