GP F1 di Monza 2013 ad emissioni zero (carbon neutral): è proprio vero?
Segnaliamo l'articolo dell'amico Alberto Zoratti (@Alberto_Zoratti) pubblicato sul sito http://comune-info.net/ per diffondere i dubbi che già prima del Gran Premio abbiamo condiviso con Alberto stesso: dubbi riguardo l'azione di compensazione delle emissioni di CO2 collegate al Gran Premio di Monza svolto la scorsa domenica, su cui la minuziosa e precisa indagine di Alberto porta a dubitare.
Il dubbio sui dubbi è: hanno fatto un concorso per dar il nome di un campione agli alberi......ma gli alberi ci sono davvero?
Gradiremmo risposte da Aci e da Ecostore, la quale ha sostenuto questa campagna creando persino un sito web dedicato nell'ambito del concorso per dare il nome del campione agli alberi (dovunque essi siano: per la cronaca, ha vinto il concorso lo storico Ayrton Senna!).
Gradiremmo risposte perchè c'è gente che quotidianamente si impegna per contrastare il cambiamento climatico, spesso con fatica e difficoltà, credendo nella necessità di una concreta "azione" di contrasto al climate change e di "informazione" sui rischi climatici verso Cittadini, PA ed Aziende......e azioni non corrette non fanno bene a questo impegno.
Gradiremmo risposte perchè il cambiamento climatico è un problema troppo serio per essere usato solo per campagne di comunicazione e di immagine (tanto se lasciano più di un dubbio circa il loro reale valore ambientale!).
Ma lasciamo la parola ad Alberto Zoratti, ringraziandolo per il suo puntuale lavoro di indagine.
PV
La misteriosa foresta di Monza
di Alberto Zoratti
Forse 10mila alberi (forse no, il numero è «puramente indicativo» ha precisato in extremis un provvidenziale e minuscolo asterisco) piantati per compensare le quasi 12mila tonnellate di anidride carbonica emesse dal Gran Premio di Monza. È il frutto, verdissimo, della collaborazione tra Aci ed Ecostore per realizzare un’iniziativa unica al mondo. «Un progetto apripista» spiegano i promotori, che guardano alla riforestazione in Alaska e Madagascar (forse, visto che a poche ore dal gran premio il tutto è stato sostituito con «regioni in via di sviluppo») come a una possibile risposta per uno «sport» che non è certo da annoverare tra i più ecologici. Un’operazione da «primato», che vanta il patrocinio del Ministero dell’Ambiente. Comune-info ha provato a leggere tra le righe di quello straordinario primato ambientalista, la storia da raccontare sembra un po’ diversa da quella annunciata.
“E’ la prima corsa automobilistica ad emissioni zero”. Stiamo parlando del Gran premio di Monza, uno dei circuiti mondiali che prima e meglio ha costruito e alimentato il mito dei supereroi della Formula Uno. Sul podio del Gran Premio d’Italia sono saliti tutti, da Tazio Nuvolari a Sebastian Vettel, passando per Manuel Fangio, Ayrton Senna, Niki Lauda, Michael Schumacher. Nei primi anni del Campionato mondiale della Formula Uno, quella di Monza era la gara più prestigiosa, quella che concludeva l’intera competizione. Sessant’anni dopo, da Monza annunciano un nuovo primato, naturalmente al passo con le sensibilità radicalmente trasformate del nuovo millennio.
Con un accordo siglato il 25 luglio scorso tra l’Automobile Club d’Italia ed Ecostore, nota catena di prodotti per la stampa, toner, cartucce rigenerate etc., “le 12mila tonnellate di CO2 emesse dal Circus di Formula 1 durante il Gran Premio d’Italia verranno compensate con 10mila alberi in Alaska e Madagascar” secondo gli standard del Protocollo di Kyoto. Un progetto che permetterà di compensare non solo le emissioni delle roboanti monoposto, ma addirittura “quelle dei motorhome e dei veicoli tecnici dei team per il raggiungimento dell’autodromo brianzolo”.
Un’operazione “patrocinata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare”, che ha visto in conferenza stampa la presenza persino del Questore della Camera dei Deputati, l’on. Stefano Dambruoso. “Un progetto apripista”, secondo i responsabili della comunicazione di Ecostore. In effetti, la visibilità ottenuta e l’impatto mediatico derivante dal collegamento tra la tutela dell’ambiente e il profilo dei promotori con lo storico autodromo lombardo, sono stati significativi. “Alberi e campioni”, insomma. Esattamente come il titolo del sondaggio sul sito ACI che per più di un mese ha offerto la possibilità a qualsiasi appassionato di Formula 1 col pallino per l’ambiente di mettere il nome del campione preferito su uno dei 10mila alberi piantati “nel rispetto del meccanismo di Joint Implementation previsto dal Protocollo di Kyoto”.
Ed è stato proprio da qui, dal concorso lanciato da ACI e sostenuto da Ecostore e dalle informazioni fatte circolare dai promotori, che è nata la voglia di capire meglio, di approfondire un po’. Si tratta di progetti di Joint Implementation o di cos’altro?
Le operazioni di compensazione di CO2 non sono mai cosa semplice. Presuppongono, come ogni progetto che si rispetti e che coinvolga quantità fisiche (in questo caso tonnellate di gas, ettari di terreno, numeri di alberi), modalità di verifica e monitoraggio all’altezza della situazione.
Ad oggi, dopo più di un mese di contatti, verifiche, ricerche, Comune-info non è in grado di ricostruire una filiera dell’informazione completa ed esaustiva sul progetto di compensazione del Gran Premio di Monza. Nonostante i ripetuti tentativi di ottenere informazioni più dettagliate dai diretti interessati, quello che ad oggi è emerso è uno scenario ancora più incerto. Come sia possibile, in questo quadro di incertezza, garantire che ci sia un reale contributo alla lotta al cambiamento climatico, e non una semplice operazione di Green marketing, e che il nome di Nelson Piquet finisca sull’alberello che nostro figlio ha scelto, rimane un mistero tra i misteri.
Vediamo invece cosa siamo riusciti ad appurare e a capire.
Joint Implementation: meccanismo flessibile. Non per tutti.
Secondo le informazioni che Ecostore ci ha inviato, “i progetti sottostanti i certificati donati da Eco Store non rientrano nel Clean Development Mechanism, bensì nel Joint Implementation” (nota 1).
Qui emerge, dunque, un primo elemento degno di analisi. Com’è possibile che si tratti di Joint Implementation dal momento che la forestazione viene fatta, almeno secondo le prime dichiarazioni, in Alaska (uno degli Stati Uniti d’America, che non hanno firmato il Protocollo) e in Madagascar (che non fa parte dei Paesi Annex 1, quindi non eleggibili per progetti JI)? Ed anche rimanendo alle modifiche apportate a pchi giorni dal Gran Premio che parlano di “regioni in via di sviluppo” (senza peraltro specificare quali), la Joint Implementation è fuori luogo.
Ma tenendo fede all’informazione e alle interviste iniziali, che parlavano di Madagascar ed Alaska, le conferme non arrivano. A scorrere l’elenco ufficiale dei progetti JI sul sito dell’UNFCCC (nota 2) non si trova alcuna traccia di progetti in quelle zone. Tutto può accadere, certo, qualche svista capita a chiunque. Per questo abbiamo deciso pazientemente di contattare i diretti interessati, in Alaska. Da Anchorage, il Department of Natural Resources, della Division of Forestry dello Stato dell’Alaska, per bocca del suo Direttore e State forester John “Chris” Maisch, spiega: “Ho verificato con lo staff in diverse zone dello Stato. Nessuno è al corrente di progetti come questo”. L’Alaska è un paese molto grande però, aggiunge Maisch, “ci sono molti proprietari privati, principalmente organizzazioni di Nativi, che potrebbero avere siglato un accordo di questo tipo. Non c’è l’obbligo di registrare progetti come questo qui da noi. Un venditore e un acquirente volenterosi potrebbero sviluppare un progetto come questo senza che noi ne veniamo a conoscenza”. Insomma, dopo il successo di Joe the Plumber durante la campagna elettorale di Obama, il consiglio dello State forester è quello di cercare il “Frank the Farmer” di turno. Operazione impossibile, per lo più basata su accordi volontari e non su Joint Implementation che prevede, anche se in forma differente a seconda del tipo di progetto sviluppato, una qualche forma di monitoraggio indipendente e di valutazione dell’efficacia dell’azione. Resta il fatto che l’Alaska è parte degli Stati Uniti, che non hanno mai firmato il Protocollo.
“L’Alaska non ha un registro di carbon projects, così la certificazione e la verifica sono due aspetti molto importanti dei progetti di carbon offset”. Dopotutto, sebbene sia un’idea interessante, sottolinea Maisch “i dettagli sono importanti. Se stai comperando 100 tonnellate di crediti di carbonio, vuoi essere sicuro di star realmente acquistando 100 tonnellate, no?”.
Tracciabilità, trasparenza ed accreditamento. Sono gli elementi chiave dei progetti di compensazione, sui quali la comunità internazionale stenta ancora a trovare un accordo univoco.
Ma che dire dei 10mila alberi (numero diventato, di punto in bianco, “puramente indicativo”) che compensano le 12mila tonnellate?
“La taglia del progetto è molto modesta” continua John Maisch, considerato che si starebbe parlando di riforestare in Alaska e in Madagascar, ma assumendo che tutte le 10mila piante fossero piantate da qualche parte in Alaska con alcune varietà native “questo occuperebbe dai 25 ai 50 acri di terreno. Come abbiano determinato la quantità di carbonio assorbito per un progetto come questo”, conclude Maisch “è tutta un’altra questione”.
Alberi e campioni
Un ulteriore elemento delicato, in effetti, è quello della riforestazione. Gli alberi non sono tutti uguali e, a seconda delle caratteristiche fisiologiche della pianta e delle condizioni ambientali in cui si trova, possono assorbire più o meno CO2. La mancanza di ulteriori informazioni sulla localizzazione dei progetti e sul tipo di piante utilizzate non permette quindi di capire se la stima comunicata è corretta oppure no. Qualche nuovo elemento di riflessione lo aggiunge Christopher Brandt, Direttore Esecutivo della Climate Concept Foundation, fondazione con sede ad Amburgo, attiva in diversi network internazionali ed europei.
Secondo Brandt, 10mila alberi potrebbero essere insufficienti “per compensare le emissioni del gran premio di Formula 1. In Alaska il tasso di crescita è particolarmente lento a causa del clima freddo. E’ improbabile che si possano fissare più di 2 tonnellate di CO2 per acro ogni anno”; in Madagascar (assumendo il fatto che una parte degli alberi siano stati piantati nel Paese africano, come inizialmente indicato da ACI ed Ecostore) “il tasso di crescita è più alto a causa del clima più caldo, ma anche qui è irrealistico pensare a più di 6 tonnellate per acro ogni anno”.
Oltretutto è difficile persino immaginare quanti acri potrebbero essere piantati, perché differiscono molto da specie a specie vegetale. “In ogni caso”, evidenzia Brandt, i numeri sono “stupefacenti. 10mila alberi per 12mila tonnellate di carbonio? Devono essere alberi molto speciali, alberi di cui non ho mai sentito parlare fino ad ora”.
E’ difficile capire esattamente come stiano le cose, in mancanza di un’informazione completa sui progetti di riforestazione, informazione chiesta ripetutamente ai diretti interessati.
La questione della compensazione tramite riforestazione presenta elementi ancora più complessi, come quelli relativi alle emissioni indirette (nota 3). Un rischio a cui non sfuggono neppure i progetti più accreditati all’interno del Protocollo di Kyoto.
“Una questione da non sottovalutare” ci ha spiegato Brandt, “è quella relativa alle attività che venivano svolte nell’area riforestata prima dell’avviamento del progetto. Se ci fosse stato, ad esempio, un allevamento di bovini, il suo eventuale spostamento determinerebbe un analogo spostamento delle emissioni correlate. Un fenomeno che dovrebbe essere incluso nel calcolo delle riduzioni delle emissioni dichiarate dalle attività di progetto. Molto spesso” ha concluso “gli effetti indiretti sono molto difficili da valutare. Questo rende molto complessa la valutazione dei benefici ecologici di progetti forestali come questo”.
VTB Capital: attiva nel climate finance
Se calcolare l’effettivo impatto di un progetto come questo è complicato, altrettanto difficile è capire quali siano gli attori coinvolti nell’operazione “Gran Premio ad emissioni zero”. Con una buona dose di determinazione, tuttavia, qualche informazione arriva, purtroppo però non aiuta molto a comprendere bene la situazione.
A cominciare dall’intermediario finanziario. La banca di riferimento per l’acquisto dei certificati di emissione è VTB Capital (nota 4), un soggetto interessante dal punto di vista non solo finanziario, legato a doppia mandata a VTB Bank.
“La banca è dotata di un carbon desk tra i più attivi, in quanto dispone, nell’ambito del protocollo di Kyoto, di notevoli quantità di certificati di offsetting”. È uno dei motivi per cui, probabilmente, è stato scelto il colosso russo. Trattandosi di “finanza per il clima”, tuttavia, può aver senso capire chi sono gli attori in gioco e come essi si muovono sullo scenario internazionale.
Quanto VTB Bank sia interessata alla questione climatica viene espresso bene, nell’ottobre del 2011, dalle parole del suo presidente Andrei Kostin. In un’intervista rilasciata al quotidiano Kommersant sulle attività di lobbying della banca per poter operare nella finanza climatica, Kostin spiega: “Faremo lobby” affinché “Sberbank, che oggi è l’unico agente autorizzato a vendere quote sotto l’egida del Protocollo di Kyoto, perda il suo status esclusivo”. Ordinaria competizione tra colossi per un affare non indifferente, soprattutto se si parla di diritti di emissione in Paesi come la Russia, l’Ucraina, la Bielorussia.
Dall’ultimo social report della Banca (rigorosamente in russo) non emergono particolari eccellenze nel campo della lotta al cambiamento climatico e della tutela ambientale, se non il sostegno al miglioramento dell’efficienza energetica di alcuni complessi aziendali che ha portato a una riduzione dei consumi elettrici e termici del 15-20%. Non è da quello che dichiara che si capisce l’attività della Banca in campo ambientale. E’ da quello che fa.
VTB Bank ha presentato la sua candidatura per essere accreditata al Fondo GEF, il Global Environment Facility (nota 5). Si tratta di un Fondo che gestisce un fiume di denaro per il quale è necessario un processo di accreditamento: un panel di tre esperti ha verificato le diverse candidature sulla base di sette standard, segnalando le organizzazioni o gli enti degni di essere raccomandati al segretariato. Il voto medio, minimo, era 3 su 5. E VTB Bank è riuscita a racimolare i 3.04 punti, sufficienti per essere raccomandata. Ciò che è interessante, però, sono gli standard dove la Banca ha raccolto il punteggio più basso (1,84) e cioè la “Demonstration of Environmental or Climate Change Adaptation Results”. L’insufficienza viene motivata con il fatto che “VTB non ha fornito alcuna valutazione di progetto indipendente o alcun risultato quantificabile su progetti rilevanti per il GEF”, e la “Relevance for the GEF” (punteggio 2.17) dove si chiarisce che la mission della banca “non è direttamente collegata agli obiettivi del GEF”. Insomma, sulla trasparenza e la coerenza, c’è qualche intoppo, ma quello che conta (anche per il punteggio finale) è la capacità di leva finanziaria e di muovere denaro (punteggio ottenuto: 4).
Sono motivazioni che hanno fatto alzare gli scudi alla società civile internazionale. Con una lettera inviata al presidente del GEF, Naoko Ishii, il 3 settembre 2012, alcune organizzazioni hanno espresso la loro più profonda preoccupazione “per il processo di accreditamento delle GEF Project Agencies, in particolare con la promozione della russa VTB Bank” nel processo di accreditamento “e la possibilità di una sua selezione come GEF Project Agency. Siamo certi che VTB non rispetta buoni standard ambientali (nota 6) e, quindi, non può essere qualificata per una partnership con il GEF”. Una richiesta che pare abbia trovato ascolto, almeno parziale, nelle ovattate stanze del GEF: secondo Christian Hofer, responsabile delle relazioni esterne del GEF, l’accreditamento di VTB Bank è ancora sotto osservazione, soprattutto per la parte che riguarda la conformità agli standard e le garanzie fiduciarie. Una nuova richiesta di accreditamento è attesa nei prossimi mesi. Quando, chiarisce Hofer, “dovranno rispondere alle domande del Panel sulle denunce ricevute su VTB”.
Qualche informazione in più
Insomma, VTB Capital è uno dei soggetti coinvolti nell’operazione Monza, un coinvolgimento, a quanto pare, non particolarmente interessato alle performance ambientali e sociali.
Secondo una nota informativa inviata dalla Banca, che Ecostore ci ha in seguito gentilmente inoltrato, VTB acquista certificati da progetti di riduzione di emissione da tutto il mondo e da un certo numero di differenti progetti (nota 7). Non c’è, per la verità, alcun chiaro riferimento alla riforestazione. Più nello specifico, VTB Capital spiega che “le Emission Reduction Units (i crediti di carbonio, ndr) che sono state cancellate per compensare il Gran Premio d’Italia provengono dal nostro portfolio di Emission reduction units dell’Ucraina. Questi progetti includono: la stabilizzazione e la demolizione di cumuli di materiali di risulta nella regione di Donbas; la sostituzione di carburanti liquidi e solidi con gas; il riciclo di rifiuti organici negli impianti di produzione dello zucchero per ridurre la produzione di metano; la sostituzione o la riparazione delle infrastrutture di trasporto del gas”.
Purtroppo, lungi dal produrre un risolutivo chiarimento del quadro che abbiamo faticosamente tentato di tracciare, la comunicazione della Banca aumenta la confusione. Non si parla di Madagascar e di Alaska, ma di Ucraina (questo spiegherebbe il continuo riferimento alla Joint Implementation), e non si citano progetti di riforestazione ma interventi su materiali di risulta e sul gas naturale.
Allora i progetti sono in Ucraina?
Le informazioni inviate ad Ecostore da VTB Bank, in seguito alla nostra sollecitazione, parlano quindi di Ucraina. Perplessi, abbiamo provato a chiedere per telefono e per posta elettronica ulteriori chiarimenti all’ufficio stampa di Ecostore e di ACI. Niente da fare. Abbiamo interpellato perciò chi in Ucraina segue questo tipo di progetti, magari con uno sguardo attento e critico, visti i precedenti del paese ex membro dell’URSS in ambito climatico8.
Secondo il NECU (National Ecological Centre of Ukraine), una delle più importanti e storiche organizzazioni ambientaliste del Paese, la situazione è delicata: alcuni dei progetti proposti da VTB Bank, nello specifico la “stabilizzazione e la demolizione di cumuli di materiali di risulta nella regione di Donbas” e “la sostituzione o la riparazione delle infrastrutture di trasporto del gas” sono progetti che meriterebbero un monitoraggio supplementare. “In particolare”, spiegano dal NECU, “questo tipo di progetti generano enormi quantità di crediti di carbonio. Tuttavia le verifiche di queste riduzioni sono poco chiare, così come la prova del criterio di addizionalità durante lo sviluppo del progetto (secondo le regole dell’UNFCCC) sembra altrettanto poco chiaro”.
NECU ha recentemente pubblicato un dossier intitolato “Critical reflections on Joint Implementation projects in Ukraine” curato da Marharyta Zhenchuk, dove vengono elencate tutte le criticità legate alla Joint Implementation nel Paese soprattutto per ciò che riguarda la reale efficacia di questi progetti e la loro trasparenza. Una situazione che ha fatto muovere network internazionali come Carbon Market Watch che ha recentemente inviato formale protesta il 24 gennaio 2012 al segretariato dell’UNFCCC su un progetto proprio collegato alla regione di Donbas e alla rimozione dei cumuli di materiali di risulta (“Waste Heap Dismantling in Sverdlovsk district of Luhansk Region of Ukraine with the Aim of Reducing Greenhouse Gases Emissions into the Atmosphere”) e sulla trasparenza e l’affidabilità delle stime di riduzione.
Una preoccupazione simile è stata espressa dal CAN – il Climate Action Network, che raccoglie tutte le principali organizzazioni ambientaliste – che il 16 aprile 2012 ha inviato una lettera al Segretariato UNFCCC in merito alla gestione attuale dei progetti di Joint Implementation. Nello specifico dell’Ucraina, il CAN sottolinea come il Paese “abbia emesso più Emission Reduction Units” in tre mesi che dall’inizio dell’operatività dei progetti JI. “E’ molto improbabile” continua il CAN, “che questa improvvisa e gran quantità di crediti JI sia reale e addizionale”.
Insomma, non è certo possibile giudicare senza avere a disposizione tutte le informazioni necessarie9, ma certo è che se di progetti JI in Ucraina si sta parlando, si rischia di mettere le mani in un ginepraio che nessuno, fino ad ora, è stato in grado di risolvere.
Una situazione che non aiuta per nulla a soddisfare i criteri di tracciabilità, monitoraggio e verifica che sono alla base di progetti di mitigazione e compensazione degni di questo nome (il famoso acronimo MRV, Measurement, Reporting and Verification non viene usato a caso nei negoziati internazionali, soprattutto quando si tratta di tonnellate di CO2). E che dovrebbero essere, a maggio ragione, alla base di un’operazione di compensazione che vede persino la possibilità di mettere il nome di un pilota su un albero.
Su cosa c’è il patrocinio del Ministero dell’Ambiente?
La prima corsa automobilistica a emissioni zero, secondo Ecostore, avrebbe ricevuto il “patrocinio del Ministero dell’Ambiente”. Una dichiarazione che non collimerebbe con i chiarimenti forniti a Comune-Info da fonti ministeriali che invece parlerebbero di un patrocinio concesso all’ACI per un evento pubblico di consegna di certificati di emissione. Il patrocinio non riguarderebbe dunque l’operazione di offsetting citata. Più precisamente, dal Ministero dell’Ambiente, si precisa che la richiesta di Patrocinio del Dicastero sarebbe stata inviata dai promotori per il “solo atto della consegna dell’attestazione di avvenuta compensazione da parte dell’Amministratore Unico di Ecostore srl al Presidente dell’Automobile Club d’Italia”. Alla richiesta di maggiori chiarimenti sulla questione, né da Ecostore né da ACI abbiamo avuto risposta. Peccato, perché anche questa questione non ci era parsa di poco conto. Il Patrocinio di un Ministero su un’operazione di questo tipo lascerebbe presupporre una sorta di accreditamento istituzionale, una maggiore chiarezza da parte delle Istituzioni risulterebbe, in un quadro tanto contraddittorio, quanto mai utile. Abbiamo provato inutilmente a interpellare, a questo fine, anche l’On Dambruoso, qualificato nel corso della presentazione del progetto alla stampa dello scorso luglio, come “Questore della Camera”. Continuiamo comunque a sperare in un suo pronunciamento.
Alcune domande, in questa nostra affannosa ricerca, rimangono dunque sullo sfondo. Sono domande che continuiamo a rivolgere ai diretti interessati. A cominciare da Ecostore e Aci, ai quali vorremmo chiedere per quale motivo si è parlato di Joint Implementation in Madagascar e in Alaska, successivamente modificato in “regioni in via di sviluppo”, e su quali garanzie ci si stia basando per certificare la reale compensazione di 12mila tonnellate di CO2, considerando i precedenti sopra descritti?
Perché è stato scelto VTB Capital come interlocutore finanziario su un tema così delicato come la carbon finance?
Vorremmo infine capire dal Ministero dell’Ambiente come sia possibile che un Patrocinio su un evento pubblico come ce ne sono tanti, come indicato da fonti interne del Dicastero, si trasformi nel Patrocinio di un progetto di compensazione?
Domande aperte che rinnoviamo con tenacia convinti questioni serie e delicate come il cambiamento climatico richiedano un notevole grado di trasparenza e tracciabilità per essere efficaci.
Un impegno modesto per un progetto presentato più volte come “un’iniziativa assolutamente unica al mondo”.
NOTE
1 – I principali meccanismi flessibili di Kyoto si possono suddividere in Clean Development Mechanisms e Joint Implementation. Sono procedure che permettono la compensazione delle emissioni di CO2 in un Paese con obblighi di mitigazione (i cosiddetti Annex 1) attraverso il sostegno di progetti sostenibili capaci di produrre crediti di emissione, ma sono meccanismi previsti solo da chi ha deciso di ratificare il Protocollo di Kyoto, l’unico accordo internazionale sulla lotta al cambiamento climatico. I CDM si rivolgono prevalentemente a progetti da sviluppare in Paesi del cosiddetto “sud del mondo”. I progetti di Joint Implementation al contrario permettono alle imprese dei paesi con vincoli di emissione di realizzare progetti che mirano alla riduzione delle emissioni in altri paesi con vincoli di emissione, purché firmatari del Protocollo di Kyoto.
2 – L’UNFCCC è l’’United Nations Framework Convention on Climate Change, la Convenzione delle Nazioni Unite che si occupa di facilitare i negoziati internazionali sul clima
3 – Si chiamano “emissioni indirette” e si hanno quando pianti una foresta in una particolare zona e il contadino che normalmente utilizzava l’area per agricoltura o allevamento, decide di spostarsi in un’altra zona. Dove c’è il rischio che il terreno coltivato vada a sostituire altra foresta, come accade in certi Paesi del Sud del Mondo (non ultimo in Madagascar) con un gioco a somma zero.
4 - VTB Capital è uno dei bracci strategici per gli investimenti di VTB Group, assieme a quelli retail e corporate. Dalla sua fondazione nel 2008, VTB Capital è stata parte attiva della crescita economica della Russia e delle ex Repubbliche socialiste, attraendo più di 183 miliardi di dollari di investimenti. VTB Group è un fornitore globale di servizi finanziari, ed opera in più di 20 Paesi tra ex URSS, Europa, Asia ed Africa. E’ formato da VTB Bank e dalle sue sussidiarie, un istituto a forte guida governativa, basterebbe pensare che il Governo russo detiene il 60,9% delle azioni della Banca.
5 – Uno dei maggiori fondi al mondo capaci di finanziare misure collegate all’ambiente ed al cambiamento climatico. Nato nel 1991, ha allocato più di 8,8 miliardi di dollari, sostenuto più di 38,7 miliardi di dollari in cofinanziamento per oltre 2400 progetti.
6 – Il riferimento è al progetto di sfruttamento di una miniera di rame-molibdeno in una zona dell’Armenia del Nord che, secondo la società civile armena, sta determinando un disastro sociale ed ambientale.
7 – Produzione di energia eolica, solare ed idrica; utilizzo, cattura o distruzione del metano da miniere di carbone; ristrutturazione delle reti di trasporto del gas naturale; altri mezzi industriali ed agricoli per la riduzione di gas climalteranti.
8 – Per Trasparency International, l’Ucraina è degna di essere inserita tra gli esempi di “Frodi e corruzione nel mercato del carbonio”. Secondo il network internazionale, “un’investigazione svolta nel 2010 in Ucraina ha dimostrato che gli oltre 320 milioni di euro di fondi ricevuti da Giappone e Spagna per la vendita di AAU (Assigned Amount Units, un’unità di misura dei crediti di carbonio) […] sono stati mantenuti in conti separati” mentre l’allora Primo Ministro ordinò ed approvò che i fondi “fossero trasferiti su altre attività per coprire budget in deficit non coerenti con i contratti internazionali firmati”.
9 - Richieste ma mai ricevute, come il codice di riferimento del progetto in base alla lista delle Nazioni Unite, che avrebbe facilitato la tracciabilità dei progetti presentati nel comunicato come Joint Implementation