Greenwashing: una guida alle buone pratiche nelle dichiarazioni ambientali in Europa

Greenwashing: una guida alle buone pratiche nelle dichiarazioni ambientali in Europa

L’attenzione dei consumatori verso la sostenibilità ambientale dei prodotti è in costante crescita e, di conseguenza, ormai proliferano le dichiarazioni di marketing su questo tema sia in termini di diffusione, sia in termini di variabilità.

Non c’è quindi da stupirsi se dietro a tali affermazioni si possa celare il pericolo di “greenwashing", cioè la falsa presentazione di un’immagine di impresa impegnata a favore dell’ambiente.

Una simile pratica è purtroppo capace di generare concorrenza sleale nei confronti delle Aziende e dei prodotto davvero virtuosi e, in definitiva, di favorire un’economia meno trasparente e meno sostenibile.

Si tratta di un rischio che può essere più concreto di quanto non sembri dato che, solo per portare un esempio, uno screening dei siti internet richiesto dalla Commissione Europea agli inizi del 2021, aveva evidenziato la mancanza di adeguate prove per il 50% delle dichiarazioni ambientali esaminate.

Venendo all'Italia si deve ricordare che lo scorso novembre, come già riportato su questo sito, un tribunale italiano aveva emesso la prima ordinanza cautelare in tema di greenwashing.

Una guida alle dichiarazioni ambientali per evitare il greenwashing

Di queste - e di altre analoghe istanze - è ben consapevole anche l’Ombudsman dei Consumatori danese, l'istituto danese con funzioni di regolazione del mercato analogo alla nostra Autorità garante della comunicazione (Agcom): a fine dicembre ha infatti pubblicato una breve guida finalizzata a supportare le aziende nell’evitare dichiarazioni ambientali ingannevoli.

Per completezza e "visione", questo documento non dovrebbe limitarsi ad influenzare il mercato danese ma dovrebbe invece avere una eco anche presso le Autorità garanti degli altri paesi europei:

“I politici e le Autorità di altri Stati UE sono interessati alla guida perché la legge danese sul marketing è basata su una direttiva UE e può quindi essere rilevante per altri Paesi” ha dichiarato Brisson Berggreen, consulente speciale dell’Ombudsman.

La guida, inoltre, è stata pubblicata proprio mentre la Commissione Europea è in procinto – si pensa a marzo – di pubblicare regole in materia di comunicazione ambientale.

Il documento contiene una serie di esempi di decisioni dei tribunali danesi riguardo ad affermazioni non trasparenti, spiegando come invece queste dovrebbero essere sostanziate. 

Le indicazioni della guida danese "anti-greenwashing"

La guida afferma che qualsiasi dichiarazione ambientale, soprattutto se generica, per non incorrere nel rischio di essere considerata “greenwashing”, deve essere accompagnata dalla spiegazione dettagliata del suo significato e supportata da analisi scientificamente fondate e riproducibili.

In particolare, l’autorità danese precisa che:

  • un’affermazione di sostenibilità di un prodotto non può riferirsi solo a miglioramenti marginali nella sua performance ambientale, a meno che questo venga chiaramente ed opportunamente indicato;

“Imballaggio ecologico: 0,05% di sostanze nocive in meno”

  • il claim pubblicizzato non può essere ottenuto tramite attività che siano intrinsecamente dannose all’ambiente (viene portato l'esempio di un prodotto multistrato che, nonostante non necessiti di verniciatura, non può essere considerato “green” in quanto le sostanze utilizzate per produrlo lo rendono ambientalmente dannoso);

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  • non è considerato "legale" utilizzare termini come “environmentally friendly” per prodotti provenienti da settori particolarmente inquinanti;

“Buono per l’ambiente: viti fatte di materiale naturale”

  • il beneficio ambientale descritto non deve essere la norma per la categoria di prodotto considerata: anzi, il prodotto pubblicizzato come “buono per l’ambiente” deve essere fra i migliori sul mercato in termini di impatto sull’ambiente e deve essere dimostrabile tramite il confronto con i competitor;  

  • se i requisiti ambientali rispettati sono richiesti dalla legge, questi non devono essere pubblicizzati come caratteristiche specifiche del prodotto.

Per rispettare questi principi, secondo la guida danese, per i claim generici lo studio dell’impatto ambientale del prodotto - e il confronto con i suoi simili - deve essere basato sull’analisi completa del ciclo di vita secondo la tecnica LCA – Life Cycle Assessment. Inoltre, esso deve essere verificato o supportato da ricerche o entità indipendenti.

LCA: perché è così importante per evitare il greenwashing

Il Life Cycle Assessment (LCA) è una metodologia quantitativa e sistematica, messa a punto negli anni ’90, che valuta l'impronta ambientale di un prodotto o di un servizio lungo il suo intero ciclo di vita, “dalla culla alla tomba”, spaziando dalle fasi di estrazione delle materie prime, alla produzione, distribuzione, uso, fino alla dismissione finale del prodotto esaminato.

Il metodo permette analisi scientificamente e tecnicamente complete in quanto definisce un procedimento di calcolo quantitativo e dei principi rigorosi e condivisi, favorendo un’applicazione uniforme, confrontabile e verificabile da terze parti.

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L’autorità danese non è la prima a suggerire l’utilizzo dell’LCA: si tratta della metodologia richiesta per una buona parte delle etichettature ambientali, dalle EPD (Environmental Product Declaration) al Made Green in Italy, alla Product (o Organisation) Environmental Footprint europea, ed è stata più volte indicata anche dal garante italiano.

Inoltre, nell’ambito del piano d’azione 2020 per l’Economia Circolare, la Commissione Europea si è impegnata a “proporre che le aziende supportino le loro dichiarazioni ambientali utilizzando i metodi di Product e Organisation Environmental Footprint”, basandosi dunque sulla tecnica del LCA.

La decarbonizzazione nella guida

La guida danese dedica anche un paragrafo specifico alle dichiarazioni riguardanti le emissioni di gas serra.

“Se pubblicizzi l’obiettivo di ridurre le tue emissioni di CO2, devi avere un piano di riduzione […] che deve essere verificato da un ente indipendente, e devi avere un sistema di calcolo delle emissioni odierne e delle emissioni previste in futuro”.

Utilizzando degli esempi reali, la guida afferma che una dichiarazione di riduzione delle emissioni, ad esempio ottenuta tramite l’uso di un nuovo packaging, deve essere supportata dal calcolo della carbon footprint del nuovo packaging e di quello precedente.

Allo stesso modo, un claim del tipo “CO2 neutral” deve essere accompagnato dal computo delle emissioni climalteranti lungo tutto il ciclo di vita, che, in questo caso, devono essere pari a zero.

Coerenza della comunicazione e delle immagini a 360°

Da ultimo, anche le immagini, utilizzate negli spot pubblicitari, nonostante siano magari accompagnate da dichiarazioni scritte non fuorvianti, devono essere coerenti con i reali impatti ambientali, così da non produrre impressioni erronee nello spettatore.

Il caso portato ad esempio è quello della pubblicità di un prodotto petrolifero, dove un’auto rilascia fiori al posto del gas di scarico, accompagnata dalla scritta "5% di CO2 in meno. Stesso prezzo-meglio per l'ambiente": in questo caso lo spettatore verrebbe inconsciamente portato a pensare ai gas di scarico come qualcosa di totalmente innocuo, se non addirittura benefico.

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“La tua strada verso l’aria pulita. 5% di CO2 in meno. Stesso prezzo – meglio per l’ambiente"

Il marketing, in definitiva, non può tralasciare veridicità e coerenza, ma neanche la tecnica scientifica in campo di valutazione di impatto ambientale.

Da ultimo, anche le immagini, utilizzate negli spot pubblicitari, nonostante siano magari accompagnate da dichiarazioni scritte non fuorvianti, devono essere coerenti con i reali impatti ambientali, così da non produrre impressioni erronee nello spettatore.

Rete Clima a supporto dell'azione e della comunicazione delle Aziende

Rete Clima supporta l'azione e la comunicazione sostenibile delle imprese relativamente allo sviluppo di valutazioni tecniche ambientali di alto profilo ed accuratezza, anche basate anche su tecniche di LCA (Life Cycle Assessment) applicate a prodotti, servizi, eventi, Organizzazioni, finalizzate o non finalizzate alla certificazione.

Rete Clima può inoltre supportare la comunicazione tecnica e non tecnica dei progetti di sostenibilità ambientale delle Aziende, potendosi avvalere anche di servizi legali orientati a supportare una comunicazione ambientale corretta e trasparente.


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