IPCC AR6 “Report di sintesi”: l’ultimo avvertimento della scienza
Il sesto Rapporto di Sintesi dell'IPCC (AR6 SYR), tra cui l’attesissimo “Summary for Policymakers”, presentato il 20 marzo dopo una settimana di revisione da parte di scienziati e rappresentanti dei governi, conferma che il mondo non è sulla buona strada per contenere il riscaldamento climatico entro nessuna delle soglie previste dall'Accordo di Parigi (1,5°C e 2°C).
Per centrare gli obiettivi climatici concordati dagli Stati a Parigi esistono “molteplici opzioni fattibili ed efficaci, disponibili già ora”, ma, in assenza di azione immediata, la finestra per creare un futuro sostenibile per tutti si sta chiudendo rapidamente.
Il report viene così chiamato perché ha lo scopo di integrare e riassumere i principali risultati contenuti nei precedenti volumi a cura dei tre gruppi di lavoro IPCC: Le basi fisico-scientifiche (2021), Impatti, adattamento e vulnerabilità (2022), Mitigazione dei cambiamenti climatici (2022).
A differenza degli altri, il “Synthesis Report” del ciclo AR6 congloba anche i contributi di tre rapporti speciali: Riscaldamento Globale ad 1.5 (2018), Climate Change and Land (2019), Oceano e Criosfera in un clima che cambia (2019).
In questo report, dunque, non troviamo novità da un punto di vista scientifico; ciononostante esso può essere considerato il miglior compendio disponibile delle conoscenze scientifiche attuali sui cambiamenti climatici.
In particolare, la “Sintesi per i decisori politici”, un documento politico di sole 37 pagine, sarà lo guida di riferimento per i rappresentanti delle Parti riuniti alla prossima COP28 di dicembre, COP di particolare rilievo perché in essa si terrà anche il primo Global Stocktake, cioè la prima revisione dei progressi ottenuti verso gli obiettivi sottoscritti a Parigi.
“Il rapporto IPCC di oggi è una guida su come disinnescare la bomba a orologeria del clima. È una guida di sopravvivenza per l'umanità” (A. Guterres)
Si tratta dell’ultimo avvertimento da parte della scienza, perché, secondo le consuete tempistiche dell’organo ONU, il prossimo ciclo IPCC non sarà pubblicato prima del 2030, quando ormai il decennio decisivo per contenere l’aumento delle temperature entro gli 1,5°C sarà concluso.
I tre messaggi principali dell'AR6: gravità, urgenza, speranza
Per favorire l’integrazione dei contenuti dei tre gruppi di lavoro, i messaggi del “Summary for policymakers” sono stati raggruppati nelle seguenti tre sezioni:
- la situazione climatica attuale,
- i rischi futuri e le risposte a lungo termine,
- le risposte a breve termine.
Lucia Perugini, scienziata del CMCC, riassume efficacemente i tre capitoli in tre parole: gravità, urgenza e speranza.
La gravità: la situazione attuale
“Le attività umane hanno inequivocabilmente causato il riscaldamento globale, con la temperatura superficiale globale che, nel decennio 2011-2020, ha raggiunto i + 1,1 °C rispetto ai livelli preindustriali”.
La conseguente intensificazione del ciclo dell’acqua ha prodotto eventi meteorologici estremi più frequenti e più intensi, che hanno implicato impatti negativi e perdite e danni sia per la natura che per le persone in ogni regione del mondo.
Per quanto riguarda le persone, i crescenti impatti comprendono non solo un aumento del numero di decessi attribuibili alle ondate di calore e agli altri estremi, ma anche un peggioramento della sicurezza alimentare e della disponibilità e sicurezza dell’accesso all’acqua.
Gli scienziati ammettono che gli impatti negativi sono risultati più diffusi e gravi di quanto previsto nel ciclo AR5.
Ad essere colpite in maniera assolutamente sproporzionata sono, e lo saranno ancora di più in futuro, proprio le comunità più vulnerabili, quelle che storicamente hanno contribuito di meno alle emissioni di gas ad effetto serra.
“Quasi la metà della popolazione mondiale vive in regioni altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Nell'ultimo decennio, i decessi per inondazioni, siccità e tempeste sono stati 15 volte superiori nelle regioni altamente vulnerabili" (Aditi Mukherji, autore IPCC)
La gravità: siamo sulla strada sbagliata
Cosa è stato fatto finora, dopo 30 anni dal primo rapporto IPCC?
Partiamo dalla mitigazione. Ammettendo che gli Stati rispettino gli impegni assunti nei propri NDC, le emissioni globali di gas serra previste nel 2030, “rendono probabile il superamento della soglia degli 1,5°C durante il 21° secolo, e renderanno più difficile limitare il riscaldamento al di sotto dei 2°C”.
Purtroppo, però, esistono divari tra le emissioni implicite nelle politiche davvero attuate e quelle previste dagli NDC. In dettaglio: se consideriamo i piani contenuti negli NDC (presentati fino alla COP26), a fine secolo dovremmo arrivare ad un aumento di temperatura media globale di circa 2,8°C (range 2.1-3.4°C); se invece guardiamo a quanto effettivamente implementato si potrebbero toccare i +3.2°C (range 2,2-3.5°C).
Passando all’adattamento, nonostante venga riconosciuto qualche progresso, l’IPCC constata che esiste un notevole gap tra quanto realizzato e quanto sarebbe necessario: in alcuni casi sono stati raggiunti limiti all’adattamento, in altri si è verificato addirittura una “maladaptation” (cioè le azioni di adattamento hanno creato maggiori rischi e vulnerabilità).
Su entrambi i fronti, mitigazione ed adattamento, gli attuali flussi finanziari sono largamente insufficienti, in modo particolare per l’adattamento negli stati più vulnerabili e in via di sviluppo.
L’urgenza: cambiamenti climatici futuri e rischi
La seconda sezione dell’SPM analizza quali sono i rischi che ci riserva il futuro.
L’obiettivo del contenimento entro la soglia degli 1,5°C, almeno senza overshoot, è probabilmente fuori portata:
“nel breve termine, è più che probabile che il riscaldamento globale raggiunga 1,5°C anche nello scenario a bassissime emissioni di gas serra ed è probabile o molto probabile che superi 1,5°C in scenari di emissioni più elevati.”
Ricordiamo che la soglia di temperatura di +1,5 non è stata scelta a caso. Oltre gli impatti su barriere coralline e ghiaccio artico estivo, nonché sui nostri ghiacciai alpini, sopra questa soglia si potrebbero innescare dei pericolosi tipping points, cosa che ci porterebbe in un territorio inesplorato dalla scienza, con un clima destabilizzato.
Però, anche se dovessimo superare la soglia dei +1,5°C, ogni frazione di grado in più conterebbe.
“Ogni incremento del riscaldamento globale intensificherà rischi multipli e concomitanti […] creando effetti composti e a cascata più complessi e difficili da gestire”.
Ad ogni aumento di temperatura, i carbon sinks naturali - l’oceano, le foreste, il suolo - che finora hanno assorbito più di metà delle emissioni antropiche, diventeranno sempre meno efficienti; lo stesso dicasi per le azioni di adattamento, che potrebbero raggiungere dei cosiddetti limiti “hard”, cioè quando non è più possibile adattarsi.
Per tutti questi motivi è urgente agire subito.
L’urgenza: le risposte a lungo termine (al 2050 e oltre)
Cosa dobbiamo fare sul lungo termine?
Occorrono innanzitutto “riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni di gas serra in tutti i settori”. È assolutamente imprescindibile raggiungere il Net Zero di CO2 entro il 2050, anzi, secondo Guterres, le economie sviluppate dovrebbero fare tutti gli sforzi per arrivarci anche prima, entro il 2040.
“Il limite di 1,5 gradi è raggiungibile. Ma ci vorrà un salto di qualità nell'azione per il clima” (A. Guterres)
Nella tabella seguente è riassunta la roadmap da rispettare per la riduzione della CO2 e degli altri GHG (ad esempio metano, protossido di azoto). Limitandoci alla CO2, per avere un 50% di probabilità di restare sotto i + 1,5°C, dobbiamo toccare il picco delle emissioni entro il 2025 (entro DUE ANNI!), per poi tagliarle di almeno il 48% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2019, del 65% entro il 2035, dell’80% entro il 2040.
Come fare? La scienza non ha dubbi: occorre abbandonare rapidamente i combustibili fossili, causa principale della crisi climatica, almeno quelli “unabated”, senza impianti di CCS (cioè senza macchinari che catturano l’anidride carbonica direttamente dagli scarichi).
Da sole, le emissioni di CO2 che verrebbero prodotte lungo l’intero ciclo di vita dalle infrastrutture fossili già esistenti e pianificate supererebbero il budget di carbonio rimanente per contenere il riscaldamento entro gli 1,5 °C.
Sarà poi necessario far ricorso alla CDR – i metodi per il riassorbimento della CO2 - per controbilanciare le emissioni residue al 2050 dei settori “hard-to-abate” e le emissioni di altri GHG non altrimenti riducibili (come il protossido di azoto e il metano prodotti dall’agricoltura). La rimozione del carbonio dall’atmosfera servirà anche per riportarci sotto i +1.5°C dopo il quasi sicuro overshoot.
La speranza: le azioni a breve termine (al 2030)
Ed eccoci finalmente alle buone notizie: è vero che dobbiamo intraprendere una transizione di portata eccezionale, ma è anche vero che sappiamo cosa fare e abbiamo tutti gli strumenti necessari per realizzarla:
“Per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi ai cambiamenti climatici causati dall'uomo sono già disponibili opzioni multiple, fattibili ed efficaci e a basso costo”
Nella terza sezione del documento politico gli scienziati danno suggerimenti pratici di azione nei vari settori da attuarsi nel breve termine, cioè in questo decennio. Riassumendo, queste sono le principali proposte: elettrificazione dei consumi, vasto impiego delle fonti rinnovabili, miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici, sistema dei trasporti basato su auto elettriche e trasporti pubblici; riduzione dello spreco alimentare, adozione di diete salutari e tecniche agricole sostenibili; riduzione della deforestazione e ripristino degli ecosistemi.
Tutte azioni, queste, da integrare in una strategia globale di azione denominata “Climate-resilient development” (sviluppo resiliente al clima), che consiste nel combinare le misure di adattamento con le azioni di mitigazione, in modo da promuovere lo sviluppo sostenibile per tutti. L’azione per il clima non deve venire meno ai principi di equità, giustizia climatica e sociale, inclusione e dovrà implementare processi di transizione giusti.
La speranza: i co-benefici delle azioni a breve termine
Questo tipo di sviluppo comporterebbe, tra l’altro, notevoli co-benefici, che ne ripagherebbero totalmente il costo:
“L'accesso all'energia e alle tecnologie pulite migliora la salute, soprattutto per donne e bambini; l'elettrificazione a basse emissioni di carbonio, gli spostamenti a piedi, in bicicletta e i trasporti pubblici migliorano la qualità dell'aria, migliorano la salute, le opportunità di lavoro e forniscono equità”.
Insomma, tecnologie e innovazioni tecnologiche sono sicuramente fondamentali, ma da sole non basteranno a raggiungere obiettivi di mitigazione stringenti. A tal fine sono invece necessari anche cambiamenti comportamentali.
La speranza: la finanza
Per realizzare gli obiettivi climatici occorrono ingenti finanziamenti, ma il problema non è la quantità di denaro a disposizione, quanto dove questo è indirizzato.
“C’è capitale globale sufficiente per colmare le lacune di investimento globali, ma ci sono barriere per reindirizzare il capitale all’azione per il clima, [...] i flussi di finanziamenti pubblici e privati per i combustibili fossili oggi superano di gran lunga quelli diretti alla mitigazione e all'adattamento al clima”.
Considerando solo le azioni di mitigazione, i finanziamenti per il clima dovrebbero essere aumentati da 3 a 6 volte entro il 2030. I paesi in via di sviluppo avranno bisogno di maggiori aiuti finanziari da quelli sviluppati, anche solo per ripagare le perdite (loss and damage) dovute agli eventi estremi e per potersi adattare ad essi.
La speranza: i facilitatori di una azione climatica efficace
Gli scienziati individuano cinque fattori “facilitatori” per un’efficace azione climatica.
Un ruolo essenziale l’avranno senza dubbio i governi: spetta loro adottare strategie coerenti con la scienza del clima e attuare politiche climatiche efficaci, ben coordinate con tutte le altre (industriali, sanitarie, finanziarie). Inoltre, attraverso i finanziamenti pubblici, possono dare segnali chiari agli investitori, così da reindirizzare anche il capitale privato.
Tutti dovranno fare la loro parte: non solo i governi, ma anche le banche centrali e le altre autorità di regolamentazione finanziaria, così come i singoli individui.
La crisi climatica è una minaccia per il benessere umano, nostro e delle generazioni future:
"Se agiamo ora possiamo ancora garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti” (H. Lee, presidente IPCC)
Ma dobbiamo farlo subito o sarà troppo tardi.
ET e PV per Rete Clima
A questo link è possibile scaricare i materiali del Syntesis Report in inglese; qui invece la traduzione italiana di alcuni documenti e il contributo degli autori italiani, a cura del CMCC
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