Carbone sporco: continua l’aiuto europeo

La Commissione Europea ha deciso di rinviare per la settima volta la fine degli aiuti di Stato al carbone: dovevano cessare quest'anno, 2010, ma se ne riparlerà invece nel 2014, dopo altri 4 anni di aiuti alla fonte più dannosa per il clima.

Entro il primo ottobre 2014 gli Stati membri dell’Unione dovranno chiudere il rubinetto degli aiuti ai produttori del minerale fossile, per lasciarli al loro destino: vivere o morire.

Da soli, senza i 26 miliardi di denari che i Ventisette hanno pompato fra il 2003 e il 2008 in un settore glorioso e obsoleto, una volta pulsante al punto da essere l’innesco dell’integrazione continentale postbellica.

Joaquin Almunia: "Non ci sono dubbi. Tutte le miniere che non fanno utili devono chiudere".

uesta politica comunitaria è in una contraddizione evidente con gli impegni presi al G20 canadese, dove i grandi della Terra hanno invece preso l’impegno di eliminare gli aiuti alle fonti fossili.

A spingere la Commissione verso il prolungamento dei sussidi ci sono state le preoccupazioni per sicurezza energetica ed occupazione: si parla di 100mila posti di lavoro a rischio se gli aiuti venissero tolti e problemi per paesi come la Polonia che contano su questo combustibile per il 95% del fabbisogno elettrico.

Gli aiuti al carbone al 2020 arriverebbero così a 3,2 miliardi di euro, distribuiti soprattutto in Germania Spagna, Ungheria, Polonia e Slovacchia.

È la fine di un’era, che però stenta a finire: questo rinnovo quadriennale degli incentivi (seppure per un periodo di tempo più limitato rispetto ai 12 anni inizialmente ipotizzati) ne è la prova.

Il carbone ha permesso l'avvio della rivoluzione industriale ma poi, con l’andare del tempo, tutto è cambiato e le miniere europee oggi sono divenute una risorsa marginale: se nel 1973 l’Europa a Nove estraeva ancora 233 milioni di tonnellate annue, oggi i Ventisette sono a 147 milioni, il 2,5% della produzione mondiale.

Il mercato è ormai in mani orientali: la Cina estrae il 47% del carbone planetario (2,7 miliardi di tonnellate l’anno), inseguita da Usa (un miliardo) e Russia (247 milioni).

L’Europa deve importare 180 milioni di tonnellate per soddisfare le sue centrali, calcolando che il 40% dell’elettricità tedesca va a carbone, e in Italia si è intorno al 15%.

Questo tradisce l’ambizione verde dell’Ue, anche perché la produzione interna, a bassa resa termica, comporta un alto volume di emissioni di CO2 e polveri. Elevati anche i costi. E si tratta di soldi, non c’è bisogno di dirlo, spesi per allontanare l’Unione Europea dal suo obiettivo in materia di emissioni.


Lo Staff di Rete Clima®