Ecco i motivi per cui l’Italia dovrebbe abbandonare il gas

Ecco i motivi per cui l’Italia dovrebbe abbandonare il gas

Mentre l’Italia si è impegnata a chiudere le restanti centrali a carbone (8 GW di capacità complessiva) entro il 2025, allo stesso tempo le utility dell'energia pianificano di costruire nel prossimo decennio centrali a gas per una capacità complessiva di ben 14 GW di cui 5,8, già garantiti da contratti di approvvigionamento energetico, saranno attivi entro il 2023.

Un nuovo report dal titolo “Il rischio di andare a tutto gas – Perché l’Italia dovrebbe investire nel settore dell’energia pulita”, redatto dal think-tank Carbon Tracker, mostra chiaramente come si tratti di una scelta sbagliata.

Lo studio dimostra infatti che gli stessi servizi di rete forniti dalle centrali a gas più moderne (a ciclo combinato) potrebbero essere garantiti da un mix di tecnologie pulite, caratterizzate da minori emissioni di gas serra e altrettanti minori costi economici per gli utenti, per lo Stato e per le utility.

Vantaggi del mix di impianti a fonti energetiche rinnovabili

Tale mix rinnovabile potrebbe fornire infatti la stessa quantità mensile di energia, soddisfacendo la richiesta nelle ore di picco della domanda, e offrendo lo stesso livello di flessibilità della rete. In alcuni mesi sarebbe addirittura in grado di generare più energia. Non solo, i costi dell’elettricità in bolletta sarebbero minori e verrebbero risparmiati 11 miliardi di euro di potenziali perdite in investimenti; perdite che sarebbero invece associate alla costruzione di infrastrutture del gas destinate a non fornire alcun ritorno economico, per ragioni di mercato o regolatorie, col progredire della crisi climatica (si tratta dei cosiddetti stranded assets).

Rinunciando al gas, l’Italia farebbe meno affidamento sulle importazioni dall’estero, costose e spesso provenienti da paesi geopoliticamente instabili, con implicazioni positive sulla sicurezza e sull’indipendenza energetica del Paese.

Fonte: Pixabay/Anita Starzycka

La costruzione delle predette centrali a gas sarebbe dunque in contraddizione con il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), che mira ad allinearsi con gli obiettivi climatici nazionali UE e a migliorare l’indipendenza energetica. Ma mentre l’Europa si propone di ridurre le emissioni del 55% al 2030 rispetto al 1990, le nuove centrali a gas potranno produrre emissioni di gas serra annue pari al 6% di quelle totali dell’Italia nel 2019.

Il mix energetico proposto

Secondo Carbon Tracker, i risultati trovati sarebbero sufficienti ad assicurare i politici italiani riguardo alla stabilità, sicurezza ed adeguatezza della rete anche in assenza delle centrali a gas pianificate. Spesso, infatti, l’intermittenza delle rinnovabili – soggette alla variabilità del vento o della radiazione solare – viene utilizzata come argomento a favore del mantenimento di fonti programmabili (tra le quali anche il gas).

Le simulazioni del sistema energetico presentate nel report di Carbon Tracker dimostrano però che queste fonti non sono affatto necessarie.

Il mix ottimale per la rete italiana sarebbe costituito da fotovoltaico con produzione diurna, eolico offshore, che garantirebbe elettricità la notte, e batterie di accumulo, essenziali nei momenti di picco della domanda (soddisferebbero il 51% della domanda nelle ore più critiche dell’anno).

Tale portafoglio sarebbe completato da tecnologie in grado di migliorare la “demand response”, cioè di spostare temporalmente il consumo smussando così i picchi di domanda, e di aumentare l’efficienza energetica anche tramite azioni per la riqualificazione energetica degli edifici.

Costi

Il portafoglio proposto non è soltanto meno costoso di nuove centrali a ciclo combinato oggi, ma lo sarà ancora di più in futuro. I costi associati al mix rinnovabile sono infatti previsti in calo, in particolare per quanto riguarda le batterie di accumulo, mentre la generazione a gas sarà soggetta all’aumento del prezzo del carbonio ed è esposta alla volatilità dei prezzi del combustibile.

Tanto che, entro il 2030, tenendo conto dell’intero ciclo di vita degli impianti, la generazione di elettricità da nuove centrali a ciclo combinato sarà del 60% più costosa rispetto a quella da nuovo mix rinnovabile.

Fonte: Pixabay/Shuraki

Riforme

Secondo Carbon Tracker, il moltiplicarsi dei progetti legati al gas in Italia sarebbe legato a distorsioni presenti nel mercato della capacità (il meccanismo di approvvigionamento dell’energia elettrica mediante contratti a termine aggiudicati da aste competitive), che andrebbero a favorire centrali a gas - preesistenti e nuove - rispetto alle più economiche rinnovabili.

Senza tali distorsioni le infrastrutture pianificate non sarebbero convenienti e quindi non verrebbero realizzate.

Il think-tank propone quindi di riformare tale mercato consentendo un’equa competizione fra le diverse fonti.  Allo stesso tempo, suggerisce di incentivare l’utilizzo di contatori intelligenti per promuovere l’uso della “demand response” e l’installazione di sistemi di accumulo, in combinazione con gli impianti fotovoltaici domestici già esistenti.

Fonte: Pixabay/Solarimo

Impatto climatico del gas

Quanto consigliato dagli esperti di Carbon Tracker ai decisori italiani si inserisce in un contesto più ampio in cui crescono le pressioni delle lobby del fossile a favore del gas e, contemporaneamente, monta la preoccupazione della comunità scientifica verso eventuali successi di questa strategia dell’industria petrolifera.

Il gas, infatti, non è affatto una tecnologia pulita e nemmeno può più essere considerato come una soluzione di transizione verso soluzioni a minore emissioni di carbonio. Le emissioni climalteranti associate alla generazione elettrica da gas sono ben il 50% di quelle da carbone. Anche se può sembrare un risparmio importante, è molto più limitato rispetto a quello associato alle rinnovabili, con emissioni dall’intero ciclo di vita che vanno da un centesimo a un ventesimo – a seconda della tecnologia – di quelle derivanti dal carbone.

E di certo tale risparmio associato alle tecnologie a gas non sarebbe sufficiente per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo emerso dalla COP21 di Parigi.

Fonte: Pixabay/Ratfink1937

Il confronto è ancora più impietoso se si tiene conto del problema delle perdite di gas metano lungo la lunghissima catena di distribuzione (ad esempio dalla Siberia alle nostre case). Il metano, infatti, è un gas serra 28 volte più potente dell’anidride carbonica su un periodo di 100 anni, 84 volte su vent’anni. Uno studio dell’Environmental Defense Fund ha mostrato che perdite di metano pari al 2.7% del gas naturale vettoriato sono tali da annullare i vantaggi climatici nel breve termine rispetto all’utilizzo del carbone; ricerche recenti mostrano perdite locali non lontane da tale percentuale, se non superiori.

Purtroppo però, ad oggi, la strategia delle major fossili sembra funzionare, tanto che solo pochi giorni fa la Commissione Europea ha proposto l’introduzione del gas fra le attività considerate sostenibili nella Tassonomia europea per gli investimenti.

Tassonomia che doveva essere un gold standard della sostenibilità, ma che rischia di trasformarsi nell’ennesimo strumento di greenwashing.

ET per Rete Clima