Riduzione delle emissioni di gas serra e cambiamento climatico: i tempi di azione non sono coerenti con le urgenze climatiche
Si sono da poco conclusi i negoziati sul clima di Bonn (16-26 maggio 2016), l’appuntamento primaverile che si costituisce come momento intermedio rispetto alla cadenza delle COP (Conference of Parties), che vengono svolte a cavallo tra novembre e dicembre di ogni anno.
Da questo primo momento di incontro dei delegati UNFCCC a seguito della COP 21 di Parigi 2015 emerge probabilmente ancor più chiara la consapevolezza che potranno servire ancora un paio d’anni per definire i contenuti di un accordo climatico internazionale sufficientemente strutturato e condiviso tra le Parti, che possa declinare concretamente gli impegni di decarbonizzazione definiti nell'importante accordo partorito dalla scorsa COP 21 di Parigi 2015, orientando l'azione climatica degli Stati così come aveva iniziato a fare lo storico Protocollo di Kyoto.
L’obiettivo attuale è infatti quello di definire concretamente (entro il termine ultimo del 2020) un percorso che possa portare alla transizione dal consumo dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili, uno dei capisaldi dell’accordo di Parigi, al fine di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra.
Ci si scontra tuttavia con il problema “tempo”: le emissioni andrebbero tagliate in maniera significativa ed in tempi molto rapidi.
L’andamento climatico prosegue infatti verso un riscaldamento globale sempre più significativo: il 2015 è stato l’anno più caldo mai registrato e anche lo scorso aprile 2016 ha conseguito un nuovo record di temperature.
A proposito di tempistiche ed obiettivi di riduzione emissiva, arriva una importante indicazione per tramite del nuovo report del Carbon Brief: se infatti l’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) nel suo V° Rapporto del 2014 aveva stimato la quantità di gas serra che l'uomo avrebbe potuto emettere a livello globale per contenere l’aumento medio della temperatura al di sotto delle soglie di + 1.5°C, + 2°C, o +3°C (rispetto ai livelli pre-industriali), il Carbon Brief ha utilizzato queste stime per calcolare quanti anni di emissioni (al ritmo corrente) sarebbero passati prima di superare questi limiti.
Un recente aggiornamento di questa analisi (realizzata da Carbon Brief nel marzo 2016, vedi infografica superiore) indica che sarebbero sufficienti solo altri 5 anni di emissioni di gas serra (ai livelli emissivi attuali) per consumare il "budget di emissioni di gas serra" a disposizione per conseguire l’obiettivo di contenere (con un ragionevole margine di sicurezza) l’aumento di temperatura globale a +1.5°C, il limite riconosciuto come massimo aumento tollerabile alla COP 21 di Parigi.
Rimanendo a parlare di recenti report e studi, le prospettive sono preoccupanti anche secondo un recente studio pubblicato su Nature Climate Change secondo cui, qualora bruciassimo le riserve oggi accertate di combustibili fossili sulla Terra, si arriverebbe ad un aumento di temperatura pari a +10 °C (rispetto all'era pre industriale).
Katarzyna Tokarska (Università di Victoria, coautrice dello studio): "Penso che sia molto importante sapere cosa potrebbe accadere se non prendiamo alcuna misura per mitigare il cambiamento climatico. Anche se abbiamo l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, finora non vi è stata nessuna azione".
Ci troviamo ad affrontare una situazione in cui le tempistiche utili per contrastare il climatico sono molto ristrette, e fa riflettere il fatto che neppure il mondo economico stia prendendo in considerazione i rischi climatici (che pure avranno pesanti conseguenze anche in campo economico) e la loro urgenza (Assicurazioni a parte!)
Secondo il recente rapporto dell’Asset Owners Disclosure Project (AODP, una realtà coinvolta nel contrasto al cambiamento climatico), sebbene il rischio climatico sia stato riconosciuto primario anche presso il WEF (World Economic Forum), tra i 500 maggiori investitori mondiali circa la metà non prende in considerazione il cambiamento climatico come fattore economico rilevante: inoltre meno del 20% degli investitori sta adottando iniziative relative al cambiamento climatico.
Giuliano Poulter, Amministratore di AODP: "Il rischio legato al cambiamento climatico è ormai un problema di portata globale per gli investitori istituzionali e l’anno scorso ha visto molti di loro intensificare in modo significativo le loro decisioni per gestire la questione" (…) "Tuttavia è sconvolgente che quasi la metà dei più grandi investitori del mondo non stia facendo nulla per mitigare il rischio climatico".
Purtroppo non sono buone notizie.
Lo Staff di Rete Clima®