Climagate al contrario (seconda parte)
E’ storia, non opinione, l’esistenza di un processo sistematico e articolato per negare il rischio climatico, e quindi per ritardare la messa in atto di pur urgenti misure di riduzione delle emissioni (che necessariamente vanno a interferire con il ricco business petrolifero).
La cosa che riesce ancora a stupire è il fatto che questa negazione storica del cambiamento climatico è stata operata pur con la completa conoscenza dei fenomeni climatici in atto da parte degli stessi negazionisti. Che hanno mentito ben sapendo di mentire.
Il New Yok Times qualche tempo orsono è stato più che mai esplicito su questo argomento, citando un documento prodotto internamente alla Global Climate Coalition (GCC), la lobby di disinformazione climatica che raccoglieva 75 grandi industrie legate alle fonti energetiche fossili tra cui Exxon Mobil, Shell, BP, Dupont, Chrysler, Chevron, General Motors e Good Year.
Questo documento della GCC, acquisito nella disputa legale in corso sulle emissioni auto tra l’associazione dei produttori d’auto (ex-membro Global Climate Coalition) e lo Stato della California (quindi agli atti di un procedimento giuridico), in un suo passaggio riporta che: “Le basi scientifiche dell’effetto serra e il potenziale impatto delle emissioni umane di gas serra come la CO2 sono ben documentate e non possono essere negate”.
Tutto era noto, ma la storia ci racconta di una posizione ufficiale della GCC esattamente contraria, quale: “il ruolo dei gas serra nei cambiamenti climatici non è ben compreso”.
Con il passare degli anni questa l’azione della lobby era divenuta sempre più evidente e le posizioni negazioniste più difficili da sostenere apertamente: le aziende - BP e Shell prime fra tutte - avevano abbandonato l’associazione, dato che una appartenenza ad essa era diventato troppo imbarazzante (e nel 2002 questa si è sciolta definitivamente).
Non si deve però pensare che la negazione si sia interrotta: è solo diventata più subdola e strisciante.
Torniamo a fare riferimento all’interessante documento prodotto da Greenpeace, (“Koch Industries: Secretly Funding the Climate Denial Machine”), già citato su questo sito, e che non smette di stupire. Stupore per una attività di negazione che continua al giorno d’oggi, e porta ancora a creare confusione.
Secondo l’autorevole documento, per esempio, il finto “Climate Gate” (il presunto scandalo nato da alcune e-mail rubate da cui si desumerebbe la “malafede” di alcuni climatologi che avrebbero esagerato gli effetti del global warming) sarebbe stato appositamente esagerato ed amplificato da 20 organizzazioni pagate delle Koch Industries.
Similmente a quanto è capitato allo “studio” del 2007 (Dyck, Soon et al, 2007 “Polar bears of western Hudson Bay and climate change") ampiamente ripreso dai media, in cui si diceva che i ghiacci dell’Artico si scioglievano più lentamente del previsto e che gli orsi bianchi non erano in pericolo, finanziato da ExxonMobil, American Petroleum Institute e la Charles G. Koch foundation.
La strategia è sempre quella: non tanto voler irrealisticamente confutare le evidenze scientifiche sul global warming, quanto quella di seminare il dubbio nel dibattito pubblico facendo apparire controversa e nebulosa la questione climatica: che invece non lo è. Lo scopo che era quello della Coalition è ancora oggi quello che più aziende legate mondo del petrolio si prefiggono: ritardare il più possibile misure di riduzione delle emissioni, dato che queste possono danneggiare il business di quel petrolio che è la causa prima del cambiamento climatico.
Ed ecco qualche notizia a conferma di quanto affermiamo.
William O'Keefe, l’ex presidente della GCC e dirigente dell’American Petroleum Insitute, ora dirige un altro “organismo scientifico” per aiutare i politici a scegliere sulle questioni legate al cambiamento climatico (il Marshall Institute, finanziato tra gli altri da Exxon).
Proprio il report di Greenpeace riporta anche che la Exxon Mobil, nonostante dichiari di aver “sospeso i finanziamenti a fondazioni le cui posizioni scientifiche distraggano dal dibattito su come il mondo possa ottenere in maniera ecologicamente responsabile l’energia necessaria alla crescita economica”, ha elargito negli ultimi 3 anni 8,9 milioni di dollari a fondazioni negazioniste.
Attraverso le sue controllate, la Koch Industries ha invece speso 24,9 i milioni di dollari dal 2005 al 2008 per finanziare i negazionisti.
Ampliamo l’elenco dei soggetti finanziati già fornito nel precedente articolo su questo sito, citando l“Hot Air Tour”, tour negazionista organizzato negli Usa dalla Americans for Prosperity Foundation grazie a oltre 5 milioni di dollari elargiti da Koch; la Heritage Foundation, think-tank finanziata dalla Koch Industries con 1 milione di dollari per minimizzare il problema global warming e frena sulle politiche ambientali; il Cato Institute, in prima linea nel montare il “Climate Gate”; il Al Manhattan Institute, che ha più volte ospitato conferenze del negazionista Bjorn Lomborg, finanziato con 800mila dollari; la Foundation for Research on Economics and the Environment, finanziata con 365mila dollari per sostenere che il riscaldamento globale sia inevitabile e, dunque, le misure per contrastarlo una spesa inutile; il Pacific Research Institute for Public Policy, sovvenzionato con 360mila dollari anche per promuovere il film negazionista in risposta ad “Una scomoda verità” del premio Nobel Al Gore (si tratta del film “An Inconvenient Truth…or Convenient Fiction”, che cerca di negare le tesi del famoso documentario dell’ex-quasi Presidente USA); la Tax Foundation, think-tank che ha recentemente prodotto un report allarmista che metteva in guardia sui costi delle politiche ambientali volute da Obama, finanziato da Koch con 325mila dollari.
Si tratta di cifre notevoli, ma che è verosimile siano solo la punta dell’iceberg: infatti queste somme sono solo i finanziamenti “in chiaro”, legati agli obblighi di trasparenza imposti dal severo fisco americano, ma è lecito pensare che ci siano stati altri fondi dirottati in segreto verso il mondo della “junk science” negazionista.
Anche i soggetti che ufficialmente hanno preso le distanze dai loro stessi comportamenti storici di stampo negazionista verso la causa antropica del cambimento climatico, sembrano aver però continuato nell'ombra a disinformare.
Tipico che il caso di Exxon, che a bocca del suo AD dice: "Abbiamo cessato di finanziare diversi gruppi di ricerca le cui posizioni rispetto ai cambiamenti climatici contribuisce a distogliere l'attenzione da un dibattito importante: come il mondo perverrà a garantire l'approvvigionamento energetico necessario alla sua crescita, adattando allo stesso tempo una scelta responsabile dal punto di vista ambientale", salvo poi scoprire dal documento di Greenpeace che: "Nonostante questa dichiarazione, ExxonMobil continua a sostenere decine di organizzazioni che si muovono nella sfera dei negazionisti cimatici, a colpi di milioni di dollari di sovvenzioni annuali. Pero, nel corso degli ultimi anni, il gruppo ha imparato a gestire l'opinione pubblica ed ha diminuito, anche se moderatamente, l'ammontare dei contributi che versa ad un certo numero di organizzazioni "scettiche" di primo piano. Così, benché Koch Industries continui a tenere un basso profilo di fronte al grande pubblico, le sovvenzioni che accorda a questi organismi superano ormai quelle della Exxon".
A tutti questi finanziamenti verso la junk science negazionista vanno poi aggiunti anche i soldi spesi per lobbying diretta verso i politici Usa: dal 2006 al 2009 per sensibilizzare senatori e deputati verso i propri interessi, le Koch Industries hanno speso 37,9 milioni di dollari. Molto, ma meno di ExxonMobil (87,8 millioni) e Chevron (50 milioni).
Usa Today riporta la notizia che, in attesa della nuova legge sulle emissioni in arrivo negli USA, le industrie legate all’energia avrebbero già aumentato del 30% la spesa in lobbying. E probabilmente questa spesa sta dando i suoi frutti, dal momento che la nuova legge americana sulle emissioni ha per ora attraversato un tormentato iter da cui sta uscendo molto più blanda rispetto alla versione iniziale. Ed è tuttora bloccata al Senato.
Concludendo: se si deve parlare di climagate, si dovrebbe parlare dell’operato di una fetta del mondo pseudo-scientifico che si è fatto sovvenzionare per instillare dubbi nell’“uomo della strada” circa il ruolo umano nella modifica al clima. Ma l’uomo della strada è anche un elettore, ma se non è correttamente informato non può scegliere in maniera consapevole i programmi di chi si offre di rappresentarlo in sede politica nazionale.
E qui ci vengono in mente le parole dell’attuale Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che sul dibattito climatico ha detto: “Ma e' assurdo parlare di clima quando c'e' la crisi economica: e' come se uno che ha la polmonite pensa a farsi la messa in piega”.
Oppure l'incredibile mozione che voleva abrogare per legge i cambiamenti climatici, presentata dai rappresentati del centro-destra della Commissione Ambiente (primo firmatario il Presidente di questa commissione, D’Alì) approvata ll 1° aprile 2009 al Senato con 122 sì, 5 no e 92 astenuti.
Oppure la più recente bizzarra mozione presentata dal gruppetto di cui sopra per “dichiarare decaduto l’Accordo del 20-20-20” sulla base di una clausola che, però, non esiste, definita “clausola Berlusconi” (riferimento al sito Climalteranti.it per il commento della mozione).
Che fatica riuscire a far emergere la verità climatica.
Lo Staff di Rete ClimaTM