The Economist: le foreste sono “I polmoni del mondo”
L’Economist ospita uno speciale sulle foreste, la cui promozione e salvaguardia è un tassello fondamentale dentro il puzzle di attività per il contrasto del cambiamento climatico e la tutela della diversità naturale.
Nello speciale si parla a lungo della foresta amazzonica, che storicamente è stata soggetta ad una massiccia deforestazione.
Si conti che nel periodo compreso tra il 1996 e il 2005 sono stati abbattuti quasi tre milioni di ettari di foresta all’anno, scesi a “soli” 750 mila nel 2009: se si fosse continuato al ritmo tenuto fino a cinque anni fa, un terzo della foresta sarebbe andato in fumo entro il 2050.
Ma come è stata possibile questa fortissima riduzione?
E’ stata attuata una efficace azione politica, di sviluppo sostenibile, orientata a espandere l’area forestale destinata a diventare parco nazionale o riserva per le popolazioni indigene (tra il 2002 e il 2009 sono stati destinati a tale uso oltre 700.000 km2).
Per come è fatto l’uomo, anche la migliore politica rischia di essere inefficace senza un adeguato controllo circa la sua attuazione. Ed effettivamente in Brasile il controllo c’è stato dato che l’INPE (Agenzia per il controllo dello spazio nazionale) ha realizzato rapporti sullo stato della deforestazione ogni due settimane, rendendo di fatto impossibile realizzare abusi.
Guardando al futuro, entro il 2020 il Governo Brasiliano vorrebbe ridurre la deforestazione fino all’80% rispetto al valore storico, portando l’abbattimento annuo di foresta pluviale s “soli” 325.000 ha (ma alcuni politici vorrebbero arrivare a uno stop totale finalizzato a invertire la tendenza).
Ritornando all’articolo dell’Economist, a partire dall’esempio brasiliano vengono analizzati gli sforzi internazionali per la protezione delle foreste, con particolare riferimento al Programma REDD dell’ONU (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation), il cui scopo è quello di ridurre le emissioni di carbonio derivanti dalla deforestazione.
In un periodo in cui gli sforzi negoziali per il periodo post-Kyoto avanzano a fatica, il Programma REDD è l’unico vero successo climatico della UNFCCC.
Proteggere le foreste è una strada efficace per ridurre le emissioni, capace di apportare numerose esternalità ambientali positive per il territorio che le ospite: questo ha permesso che Paesi industrializzati e in via di sviluppo trovassero una linea d’azione comune che è stata codificata proprio dentro il Programma REDD.
L’Economist tocca però un problema importante e reale: trovare nuovi spazi per le coltivazioni alimentari senza abbattere foreste.
La popolazione mondiale, infatti, crescerà del 50 per cento nei prossimi 40 anni e –in prospettiva- serviranno adeguate superfici per coltivare il cibo per la sussistenza dei nuovi abitanti del Pianeta.
In teoria, a livello globale ci sarebbero già sufficienti terre incolte utili a incrementare la produzione agricola, ma sarebbe necessario iniziare a pensare in maniera realmente globale. Per esempio, è difficile pensare che sia sostenibile che un qualunque Stato occidentale pianti alberi sul proprio territorio mentre vengono abbattute foreste vergini in Congo per produrre olio di palma.
La conclusione del dossier è la seguente: “C’è bisogno di un cambiamento filosofico, per riconoscere il valore delle foreste. Questo accadrà, probabilmente, con l’aumento delle crisi climatiche”.
Si è già parlato della "pedagogia della catastrofe"......sperando che non sia troppo tardi.
Lo Staff di Rete Clima®